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L’uomo del giorno è Gianni Nucera, allenatore della Lavagnese. Classe 1977, il tecnico di Lavagna è alla sua prima esperienza in una prima squadra, dopo sette anni di gavetta nel settore giovanile tra Santa Maria e Lavagnese. L’incontro con Costanzo Celestini, da giocatore, l’ha portato a seguire questa strada; Dagnino, Venuti e Tabbiani sono invece il suo primo confronto con gli “occhi dell’allenatore”; oggi, con la fiducia della società e della squadra, stava guidando una Lavagnese che, dopo un difficile avvio di stagione, aveva cambiato marcia allontanandosi dalle zone rosse della classifica a un ritmo spaventoso e una media punti da play off. Tutti parlano bene di lui: e allora, proviamo a conoscerlo meglio…

 
Ripercorriamo insieme la tua carriera, da giocatore… 

“Sono di Lavagna, e ho iniziato a giocare nel settore giovanile della Lavagnese, dove ho fatto tutta la trafila e ho esordito in prima squadra nel 1994 (in Eccellenza). Successivamente, con la Grassorutese di William Bottaro, sono rimasto ancora due anni in Eccellenza, dopodiché sono sceso in Promozione con il Cicagna dove ho trascorso anni stupendi! Ho giocato poi nella Caperanese, dove siamo riusciti a vincere il campionato di Promozione (sono rimasto anche per l’anno successivo in Eccellenza). Poi ho iniziato a girare un po’ di squadre tra cui Calvarese, Casarza… e ho chiuso al Santa Maria (Real Fieschi, ndr), dove ho iniziato poi ad allenare grazie all’incontro con Costanzo Celestini.

Ti dico la verità: credo di essere stato un buon giocatore per queste categorie, ma ti posso affermare con assoluta certezza che non ho mai avuto né velleità né possibilità di fare il professionista. Ero un grande faticatore, correvo tantissimo e cercavo di dare tutto per la squadra: per questo credo di aver lasciato un buon ricordo a tutti quelli che mi hanno avuto come compagno”.

E poi, come ci hai anticipato, hai iniziato ad allenare.

“Arrivai al Santa Maria da giocatore, e lì c’era Costanzo Celestini come responsabile del Settore Giovanile. Quando ancora giocavo fu lui a chiedermi se avessi voglia di iniziare un percorso da allenatore, ed è stato proprio lui ha instradarmi… il secondo anno ho accettato e smesso di giocare per iniziare quest’avventura con lui. Diciamo che ho avuto un buon maestro! Avevo già fatto il corso da allenatore qualche anno prima, l’idea di allenare c’è sempre stata”.

E fu così che iniziò la tua esperienza come allenatore nelle giovanili.

“Sì, una gavetta lunga sette anni. Secondo me fare esperienza nelle giovanili è una fase importantissima nella crescita di una allenatore: per me è stata la base, perché con i giovani sei un allenatore ‘che forma’. Ci sono allenatori che invece partono direttamente dalle prime squadre, evidentemente perché si sentono pronti: non so quale sia la strada più corretta, ti posso solo dire che per me allenare i ragazzi è stato importante e formativo sotto ogni punto di vista“.

Dal Santa Maria alla Lavagnese…

“Sono stato due anni al Santa Maria, poi sono ritornato alla Lavagnese allenando tutte le categorie giovanili, dai Giovanissimi alla Juniores nazionale. Lì c’erano Gabriele Venuti, mio coetaneo che ancora giocava, e Andrea Dagnino come allenatore della prima squadra: entrambi li avevo conosciuti al Santa Maria, fu anche la loro presenza a riportarmi a Lavagna”.

E poi il ‘salto’, graduale, in prima squadra.

“Il quinto anno alla Lavagnese mi sono affacciato alle soglie della prima squadra con Gabri Venuti, che nel frattempo era diventato allenatore, a cui facevo da secondo. Sono rimasto in questo ruolo anche con Luca Tabbiani, e poi la società quest’anno (in particolare nella persona del Direttore Simone Adani) mi ha dato questa grande opportunità, mettendo me alla guida della prima squadra”.

Raccogli l’eredità di grandi nomi che sono stati sulla panchina della Lavagnese.

“Non è assolutamente facile raccogliere la loro eredità, però sono fortunato: ho visto per anni lavorare Dagnino, Tabbiani e Venuti… Dagnino è stato un po’ il primo che ho studiato ‘con gli occhi dell’allenatore’, poi con Luca e Gabri ho potuto lavorare sul campo scambiando idee e consigli. Se ho rubato qualcosa da loro, penso di aver fatto bene! E poi, siamo praticamente cresciuti insieme”.

Ma raccontami un po’, che tipo di ambiente che hai trovato a Lavagna?

“La Lavagnese è una realtà che da anni milita in Serie D. Non scopro io il valore di questa società solidissima, capitanata da un grande presidente come Stefano Compagnoni: un vero e proprio profeta in patria. Come dico sempre – ci vorrebbero più Stefano Compagnoni a Lavagna! La sua presenza ha fatto bene alla squadra di calcio, ma non solo: è una figura molto importante nel tessuto sociale di Lavagna. Ed è altrettanto fondamentale lo staff con cui lavoro: Vincenzo Ranieri, Alessandro Mariani, Fabrizio Genovese e Simone Tuccio; lo staff medico, di cui spesso non si parla ma che è importantissimo, formato da Andrea Parodi e Simone Panizza. Oltre ad essere professionisti nel loro lavoro, sono grandissimi amici: mi hanno sempre aiutato e sostenuto tantissimo, sono veramente felice di lavorare con loro. E spero di continuare, perché sono fondamentali.

Dagli anni di Dagnino, come molte altre realtà nel nostro calcio, la Lavagnese ha optato per un ridimensionamento generale: ma grazie ai giovani e al lavoro dei predecessori in panchina, abbiamo sempre ottenuto risultati buonissimi. Mantenere per vent’anni la Serie D non è cosa da tutti. Il nostro punto di forza è sicuramente il settore giovanile, il fiore all’occhiello della società: siamo riusciti a portare in prima squadra tanti giocatori del nostro territorio, farli crescere e prepararli a palcoscenici importanti. Abbiamo tirato su una generazione, direi decennale, di ragazzi davvero in gamba e preparati. Ed è diventata questa la filosofia del nostro club: permettere ai ragazzi del nostro territorio di crescere ed esprimersi al meglio”. 

Un punto debole?

“Eh, purtroppo abbiamo un tallone d’Achille: il campo. È davvero difficile affrontare qualsiasi tipo di partita di calcio, pensa allenarsi tutto l’anno: è devastante. E quest’anno, avendo avuto a che fare in prima persona con questa problematica, vorrei dare ancora maggior merito ai miei predecessori, che nonostante questa difficoltà, hanno saputo ottenere comunque ottimi risultati. Ho capito quanto sarebbe importante avere una struttura adeguata e consona alla categoria”.

Sei alla tua prima esperienza da allenatore di prima squadra. Come hai vissuto il passaggio da allenatore ‘che forma’ ad allenatore della prima squadra?

“Ho iniziato da poco, anzi – ho iniziato domani! Non è facile. La cosa fondamentale secondo me è continuare ad aggiornarsi e studiare, guardare gli allenamenti e cercare di imparare da tutti. Secondo me bisogna avere l’umiltà di non sentirsi mai arrivato o già pronto, perché il calcio va veloce, e se non stai al passo diventi un allenatore superato.

Nonostante l’avvio un po’ difficile di stagione, non mi sono mai buttato giù: la forza di andare avanti me l’hanno trasmessa i ragazzi dello staff tecnico, che come ti ho detto sono dei veri professionisti, e soprattutto i miei giocatori: sono loro la cartina tornasole di un allenatore. Mi hanno sempre dato disponibilità e fiducia, allenandosi sempre alla grande anche nei momenti difficili, cosa assolutamente non facile e scontata visti i risultati della prima parte di stagione: sono persone fantastiche sotto l’aspetto umano, dei veri uomini. E forse è proprio qui la maggior differenza con il Settore Giovanile: in prima squadra viviamo per i risultati, com’è giusto che sia, ed è importante avere l’approccio giusto”.

 

Gianni Nucera

Gianni Nucera esulta insieme ai suoi giocatori.

 

Quale aspetto cerchi di approfondire maggiormente come allenatore? Esistono ruoli chiave nella tua filosofia di gioco?

“Alleno in un modo particolare, perché mi piace sviluppare la capacità dei miei giocatori nella lettura del gioco. Devono saper reagire a tutte le situazioni tattiche che gli si possono presentare nei novanta minuti. Il calcio non è solo schemi, per questo i giocatori sono importanti non solo per le loro capacità tecniche. Tutti i giocatori sono fondamentali: un’orchestra, senza anche un solo strumento, non suonerebbe nello stesso modo. In un gruppo, secondo me, sono fondamentali i giocatori di esperienza, i ‘vecchietti’, che magari hanno 300 partite giocate alle spalle e, ritornando al discorso di prima, hanno maggiori capacità di lettura rispetto al giovane che si è appena affacciato alla categoria.

La Serie D poi è una categoria ibrida tra il dilettantismo e il professionismo, e ha come caratteristica una velocità estrema: la sequenza e le transizioni sono fulminee. Per questo, per me bisogna sviluppare le capacità di lettura: i giocatori devono essere pronti e rapidi a reagire nell’aspetto del gioco. I giovani devono imparare questo dai compagni con più esperienza: dalla loro però, hanno una caparbietà allucinante, grande determinazione e voglia d’imporsi. Il lavoro settimanale è fondamentale: i giocatori devono essere in condizione di esprimersi al meglio, e perché ciò avvenga dev’esserci una comunicazione adeguata e una forte empatia tra staff tecnico e squadra“.

Ci sono allenatori nel mondo dei professionisti che stimi o a cui ti ispiri?

“Sono affascinato dagli allenatori che presentano un calcio propositivo, che cercano attraverso il gioco di far sì che la propria squadra sia dominante: il dominio del gioco e della palla è fondamentale. Questo è il modello che preferisco, rispetto magari a quel tipo di gioco che invece ‘accetta e riparte’. In questo senso, mi piacciono molto ad esempio Sarri, De Zerbi e Guardiola, meno uno come Conte: sono tutti allenatori inarrivabili e dei grandi professionisti, ne faccio solo una questione di gusto personale. Ho avuto il piacere di ascoltare De Zerbi in un corso a Lucca: mi ha entusiasmato”.

Ritornando alla Lavagnese. Abbiamo ascoltato il tuo capitano, Giacomo Avellino, che ci ha raccontato di un campionato a due volti (clicca QUI per rileggere l’intervista al capitano della Lavagnese)

“Come ti ho detto prima, la politica societaria ha puntato molto su una squadra giovane. Come ha detto Avellino, nella prima parte di stagione abbiamo pagato l’inesperienza soprattutto nel dettaglio: nelle palle inattive, o in quelle situazioni dove sarebbe servito un pizzico di esperienza in più, abbiamo sempre pagato. Avevamo una media punti da retrocessione diretta (0.88 punti): ci mancava la malizia in quelle situazioni che possono determinare il risultato. Ma noi in campo ci stavamo bene, la squadra non è mai stata ‘morta’… nel mercato di dicembre è intervenuto il Direttore Adani, che è stato lungimirante: ha stravolto l’assetto della squadra, prendendo tasselli importanti e d’esperienza, proprio quelli che ci mancavano (Tripoli, Cantatore, Rossini…) per portare a casa i risultati. La media punti si è alzata a 1.80: un ritmo da play off, e ci siamo tirati su”.

 

I giocatori della Lavagnese salutano i tifosi. Foto di Lucrezia Crociani.

 

 Un campionato che purtroppo è stato interrotto per l’emergenza Coronavirus. Che idea ti sei fatto di tutto quello che sta accadendo? Che decisioni si dovranno prendere secondo te?

“Una pandemia non l’aveva mai vista nessuno: ci sono scienziati, medici, virologi che studiano la materia e hanno conoscenza di quello che succede e soprattutto hanno le competenze per parlare. Anche tra di loro ci sono idee contrastanti, come facciamo noi ad esprimere un giudizio? L’essere umano incappa spesso in questo errore… giudicare troppo presto le cose, senza conoscere a 360° quello che sta giudicando. Sono sincero: il calcio non è l’ultimo dei miei pensieri, perché è il mio lavoro, e come tale va preso in grande considerazione, anche se naturalmente la salute viene prima di qualunque cosa.

Secondo me sarà impossibile riprendere: siamo fermi dal 23 febbraio, proprio oggi sono due mesi esatti: praticamente, lo stesso periodo di una pausa estiva. Ormai la stagione è conclusa: se si riprendesse, che nesso avrebbero queste ultime nove/deici partite con la stagione appena disputata? Sarebbe un altro campionato! Poi, è vero che i verdetti lì da il campo, ma questa volta è molto difficile: non vorrei essere al posto di chi deve decidere. Penso che ormai qualunque strada si prenda, il campionato sarebbe falsato. Quel che sarà, sarà… tante squadre non riusciranno neppure a iscriversi, ci saranno tanti ripescaggi”.

Ed ecco la domanda più difficile: cosa vedi nel futuro di Gianni Nucera?

“Che domanda difficile! Non lo so, posso parlarti delle mie speranze in tempi brevi: l’anno prossimo vorrei ripartire alla guida della Lavagnese con la stessa squadra con cui abbiamo (non) finito quest’anno. Mi farebbe piacere ritrovare tutti, e continuare a fare esperienza con la prima squadra. Non ti nascondo però che non mi dispiacerebbe anche guidare, un giorno, una formazione giovanile ma a livello nazionale, come una Primavera…”

 

Gianni Nucera

Gianni Nucera

 

 


QUESTO ERA GIANNI NUCERA IN “L’UOMO DEL GIORNO”, LA NUOVA RUBRICA DI DILETTANTISSIMO
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