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L’uomo del giorno è Marco Pirovano, allenatore del Campomorone S.Olcese. Potremo definirlo il “Signor Play-Off”: con otto campionati vinti e ben dodici play-off disputati: nel genovese ha sicuramente pochi rivali in questi dati statistici. Un allenatore che ha sempre fatto le sue scelte in maniera pragmatica, talvolta lasciando sfuggire occasioni che, chissà, dove l’avrebbero potuto portare. Ma non si è pentito di nulla: ha sempre cercato gli ambienti e le persone giuste, cercando di costruire gruppi che, oltre a essere uniti e coesi, fossero anche squadre vincenti. Il campo e i risultati gli hanno dato spesso ragione: e allora, perché seguire le mode? Altro che tiki-taka, il calcio è uno sport basato sul contatto fisico; aggressività agonistica e pluralità di soluzioni tattiche sono l’arma vincente delle sue squadre: tanto da mettere in difficoltà qualunque avversario; tanto da far valere al suo Campomorone il titolo di “ammazzagrandi” di Eccellenza… 

Ripercorriamo insieme la tua carriera, da quella di giocatore a quella di allenatore.

“Sono partito dalle giovanili che ero centrocampista, poi ho trascorso la mia carriera da giocatore tra centrocampo e difesa, anche se per la maggior parte degli anni ho giocato da difensore centrale, come lo chiamiamo oggi. Ho iniziato nel Fegino, dove ho esordito in prima squadra a sedici anni e sono rimasto sino ai ventotto (quando c’erano ancora i fuori quota al contrario…). Poi CULMV e Voltri, ma un problema ai tendini mi ha un po’ compromesso: praticamente, riuscivo a malapena a giocare il weekend senza poi potermi allenare in settimana. Nel frattempo ho iniziato ad allenare i giovani nel 1987, per poi esordire come allenatore di prima squadra nel 1990. Avevo trent’anni, e ho iniziato con il Landi in Seconda Categoria”. 

Da giocatore hai mai avuto grosse opportunità che non sei riuscito a sfruttare?

“A 16 anni avevo fatto un provino con il Lecco (Serie C1, allenava “il Lord” Sergio Carpanesi): mi avrebbero preso per giocare nella Berretti e avrei potuto continuare a studiare lì, ma purtroppo quella stessa estate si era ammalato mio papà, che poi è mancato. Ho dovuto lasciar perdere, smettere di studiare e andare a lavorare… ma nel mio piccolo, sono contento di tutto quello che sono riuscito a fare nel mondo del calcio”.

Che tipo di allenatori credi e/o cerchi di essere? Hai qualche ispirazione?

“Le squadre si costruiscono sul gruppo. Ovunque sono andato, sono riuscito a creare situazioni serene e piacevoli che il più delle volte hanno portato anche a risultati positivi. Siamo dilettanti, fuori dal campo cerco sempre di instaurare rapporti sereni, corretti e di amicizia: poi magari in campo mi trasformo in ‘sergente di ferro’… L’importante comunque è essere corretti, onesti e chiari. Cerco di ispirarmi a tutti gli allenatori che ho avuto o incontrato: può sembrare una frase fatta, ma è vero. Da ogni allenatore riesci a prendere qualcosa: uno schema, una situazione di gioco… cerco sempre di prendere spunto da tutto ciò che vedo per migliorarmi. Secondo me, nel calcio s’inventa pochissimo: c’è sempre da imparare dagli altri allenatori e dalle altre squadre. Mi considero un allenatore pragmatico. Spesso mi hanno etichettato come ‘quello del 3-5-2’, ma la realtà è che i moduli li ho giocati tutti. Soprattutto negli ultimi anni, per esperienza, ho cercato di mettere in condizione le mie squadre di giocare in più di una soluzione: questo ti permette di gestire e risolvere situazioni tattiche diverse, predisponendo soprattutto dal punto di vista mentale i tuoi giocatori”.

Tra i top nei professionisti, faccio il nome di Pep Guadiola: lui riesce sempre a plasmare le sue squadre (sempre fortissime) e a trasmettere la sua idea di gioco. Non è sempre facile, e lui ha saputo dimostrarlo in molti importanti palcoscenici europei, anche molto diversi tra loro: ad esempio in Germania, dove il calcio è nettamente più fisico, è riuscito comunque a trasmettere la sua identità, la sua impronta precisa.

 

 

Marco Pirovano

Marco Pirovano (Halfoto Martini)

 
Da allenatore, sei un vero e proprio veterano delle nostre categorie, hai allenato praticamente in tutti i nostri gironi… e soprattutto sei uno specialista di play off!

“Sì, a Genova le ho fatte tutte, dalla Seconda all’Eccellenza., con Landi, Borgoratti, Bolzanetese, Baiardo, Castelletto, Campomorone e Cogoleto. Ho sempre fatto scelte legate all’ambiente e alle persone: sono sceso dall’Eccellenza per andare al Castelletto, ad esempio… ovunque io sia andato, mi sono sempre cercato di legare a questo aspetto: e questa scelta mi ha sempre pagato: sono arrivato a disputare ben dodici volte i play-off! Ho iniziato con il Borgoratti, e da lì non sono praticamente mai più fermato… Ricordo con piacere le stagioni con Castelletto e Cogoleto: sono state due vere e proprie perle, e rimarranno sempre nel mio cuore perché in entrambe le situazioni si era partiti costruendo squadre nuove, con l’obiettivo di divertirsi, e alla fine sono riuscito a portare per la prima volta nella loro storia il Cogoleto in Eccellenza e il Castelletto in Promozione: m’inorgoglisce molto”.

E da allenatore, hai rimpianti?

“Vi racconto una cosa che in pochi sanno: quando ero a Borgoratti, ho avuto una grossa opportunità, grazie alle persone di Soliano e Salvetti conosciuti in quella società: mi era arrivata la proposta di andare ad allenare gli Allievi del Parma. Avevo trentaquattro anni: ecco, forse se potessi tornare indietro, rischierei. Però non è facile, pur essendo giovane, fare una scelta di vita del genere: avrei dovuto mollare il lavoro, con una famiglia a cui pensare… per rischiare ci devono essere certe condizioni, e io ai tempi non me la sono sentita. Forse quello è il mio unico vero rimpianto: come quando ero giocatore con il Lecco, ho dovuto scegliere anche in questo caso di rinunciare a qualcosa. Ti ripeto, sono scelte comprensibili… se si potesse tornare indietro è naturale che si cambierebbero tante cose, ma stare lì a pensarci e rimpiangerle lascia il tempo che trova.

Parlando invece di risultati sportivi, se proprio dovessi trovare un rimpianto, ti dico la stagione con il Baiardo: siamo retrocessi dall’Eccellenza alla Promozione, mi ha dato fastidio. Però mi ha insegnato tanto, perché mi ha fatto imparare a ragionare in una maniera diversa: quell’anno mi ero fatto ingolosire dalla categoria, forse avrei dovuto fare altre scelte, e infatti non è finita bene. Sicuramente, anche per la mia mancanza di esperienza, ma avrei dovuto capire che non c’erano le basi per fare bene. Che poi siamo retrocessi, ma per assurdo facendo anche abbastanza bene”.

E la partita dei quattro cambi?

“Una partita clamorosa: in nove contro undici, vincevamo 1-0… nel recupero, preso dal momento, ho fatto un cambio in più. Eravamo al Morgavi, se chiudo gli occhi ricordo ancora quel momento in cui stavo salendo quelle maledette scalette per andare negli spogliatoi, guardando i miei giocatori felici, esaltati dalla grande vittoria e assolutamente ignari di quello che era accaduto. Ma la mia faccia parlava da sola – Cosa è successo mister? – Eh, ho fatto un casino… ho fatto quattro cambi -. Ricordo ancora, mortificato, l’entusiasmo che avevo smorzato dopo una vittoria così incredibile, tutto in un secondo”.

Ci sono giocatori di cui non potresti proprio fare a meno? Chi è il più forte che hai allenato?

“Ai giocatori fortissimi ma con il caratteraccio, ho sempre preferito quelli un po’ meno forti ma che siano uomini e persone che facciano spogliatoio. Non ti posso fare nomi perché dovresti fare un elenco interminabile… ci tengo molto ai rapporti umani, e ci sono amicizie che porto avanti da tantissimo tempo (come quella con Massimo Amico, con cui lavoro ancora qui al Campomorone). Cerco sempre, come ti ho già detto prima, chiarezza, onestà e correttezza, perché secondo me così si guadagna la stima delle persone e dei giocatori. Questo è l’importante, al di là delle capacità tecniche. Di calciatori forti ne ho allenati tanti, ma a livello tecnico Vincenzo D’Isanto è una spanna sopra gli altri. Gli ho visto fare cose straordinarie in campo: ma lui un dilettante non lo è mai stato”.

Come ti trovi al Campomorone? Che tipo di società hai trovato?

“È un ambiente dove ai veterani (Leoncini e i fratelli Parodi) si è aggiunta tutta la parte del Sant’Olcese, che ha portato una ventata di entusiasmo. C’è un clima familiare e si lavora benissimo. Per come è stata strutturata poi, si hanno tante situazioni che possono permettere di fare veramente bene. L’impianto sportivo credo sia il più bello a Genova, e poi c’è un Settore Giovanile che, in tutto, arriviamo quasi a 600 tesserati. È un movimento grosso. Ci sono tutti i presupposti per continuare a ottenere risultati positivi: è una società in crescita e se investi sui giovani secondo me tra qualche anno magari ci sarà anche la possibilità di provare a salire“. 

 

Il nuovissimo impianto Begato9, foto dall’alto.

 

Abbiamo intervistato tantissimi attaccanti nel corso dei nostri “aperitivi” su Instagram, e la maggior parte di loro a indicato la difesa del Campomorone come la più “cattiva”…

“Per come interpreto io, il calcio è uno sport di contatto, fisico e agonistico. Tutte le mie squadre devono avere queste caratteristiche: quando uno scende in campo dev’essere aggressivo, aver voglia di vincere, raddoppiare le marcature, attaccare e cercare di arrivare per primo su ogni pallone. In questo modo, anche una squadra ‘normale’ può mettere in difficoltà squadre fortissime. Le mie squadre hanno sempre avuto queste peculiarità, e spero che in futuro continueranno ad averle. Non sono mai andato dietro le mode, e sono convinto che le scelte che pagano devono essere portate avanti. Le mie squadre sono sempre state difficili da affrontare…”

Quest’anno stavate disputando l’ennesimo buon campionato.

“Abbiamo costruito una squadra nuova, ringiovanita e con quattordici/quindici nuovi innesti (giocatori tra l’altro con estradizioni diverse l’uno dall’altro): non era facile. Siamo stati tutti bravi, dai giocatori, allo staff e la società, a far capire subito quale doveva essere la mentalità giusta. Abbiamo messo sù un bel gruppo: forse è anche per questo che siamo riusciti ad arrivare un po’ oltre le nostre aspettative iniziali. C’è stato un piccolo momento di flessione, ma tutto sommato ci stava, è fisiologico. Ne siamo usciti grazie al 3-3 contro il Sestri Levante. A livello qualitativo, ti posso dire che è da anni che non vedevo un’Eccellenza così, con un numero così elevato di squadre forti. Quindi un grosso merito va ai miei giocatori“.

 

campomorone

Campomorone: foto di squadra 2019/2020 (dal sito ufficiale della società)

 

Un campionato che purtroppo rischia di non essere concluso. Qual’è il tuo pensiero?

“Non mi interessa di quello che potrà succedere con promozioni e retrocessioni: mi andrà bene qualsiasi cosa verrà decisa. Davanti a un numero così alto di deceduti, davanti a tutte le problematiche che ne conseguiranno, non riesco a pensare al calcio. Il calcio è la mia vita, ma ci sono priorità che devono essere messe nell’ordine giusto in questi momenti. Sarà difficile persino riprendere, la speranza è quella di poter tornare in campo a settembre/ottobre. Forse capiremo l’importanza dell’attività sportiva, l’importante è non far finta che non sia successo niente. Cambieranno anche le priorità di molte società: ci sarà un ridimensionamento, non so da che certezze si potrà ripartire, soprattutto nelle realtà meno consolidate. Tante società spariranno. Spero in un aiuto degli organi competenti: se il mondo dei dilettanti non verrà aiutato, sarà dura riprendersi da questo periodo così buio“.

Un ultima domanda mister… tra cinque anni dove vedremo Marco Pirovano?

“Ecco, tieniti bassa con gli anni… inizio ad avere una certa età. Amo stare in mezzo ai ragazzi, mi fa sentire più giovane. È la cosa più bella che puoi fare. In qualsiasi veste, spero di rimanere nel mondo del calcio: magari tornando anche al calcio giovanile. Credo che allenare e dare una mano in questo mondo, resterà la mia priorità“.

 

 
marco pirovano

Marco Pirovano, l’uomo del giorno di oggi 25 aprile

 

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