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L’obiettivo della rubrica “Ma se ghe penso” è quello di raccontare il sogno di quei ragazzi che partono dalla Liguria alla conquista dei propri sogni: nelle scorse settimane abbiamo ascoltato ragazzi partiti per paesi lontani alla ricerca di sé stessi, oltre che di maggiori fortune nel mondo del calcio.

Questa settimana però non usciremo dal nostro Bel Paese, ma abbiamo deciso di raccontarvi la storia di un ragazzo che molti di voi appassionati di calcio conosceranno, se non altro, come giocatore del Venezia: Marco Firenze. Lo conoscono sicuramente bene invece in quel di Sestri Levante, perché insieme a una grande squadra agli ordini di mister Baldini i Corsari riuscirono con lui a raggiungere un traguardo storico per la società, quello di vincere i play off nazionali di Serie D (a Foligno, contro i pugliesi del Monopoli). Una cavalcata incredibile di cui Marco Firenze, a suon di gol e giocate incredibili, è stato uno dei protagonisti assoluti (siglando tra l’altro la rete dell’1-0 nella finalissima contro il Monopoli).

Il giovane classe ’93 era arrivato a Sestri Levante dopo un periodo che lui stesso definisce “buio” della sua carriera, in cui aveva perso la fiducia in se stesso e la fiducia degli altri. Dopo qualche episodio, nessuno infatti lo voleva più. A Sestri però trovò quell’ambiente e quelle persone che riuscirono non solo a fargli ritrovare la fiducia, ma a consentirgli una vera e propria rinascita. Marco Firenze ha ricominciato a sognare, e anno dopo anno ha riconquistato tutto quello che aveva perso. Tra l’altro, con gli interessi: dopo quella magnifica stagione in Serie D infatti, Firenze fece ritorno al professionismo, senza mai più abbandonarlo. E oggi, il sogno della Serie A è sempre più vicino…

 

Ciao Marco! Innanzitutto, come stai vivendo questo periodo? A Venezia non siete ancora ripartiti con gli allenamenti…

«No, siamo fermi. Nonostante la nuova ordinanza ci permetta una prima ripresa, la società ha deciso comunque di attendere sino a che non sia chiaro il protocollo e non ci siano notizie più ufficiali in merito a un’eventuale ripartenza. Così, ho avuto il permesso ti poter tornare a casa dalla mia famiglia dopo due mesi trascorsi chiuso in casa, da solo. Purtroppo non è stato e non è un bel periodo per me, come del resto per tutti quanti. Poi, per quelli che come me sono abituati a praticare sport tutti i giorni a ritmi elevati, non è stato affatto facile. Stiamo continuando ad allenarci tramite videochiamata come nel periodo di chiusura totale: poi io cerco di integrare con un allenamento individuale, avendo a disposizione a casa l’attrezzatura necessaria per poterlo fare».

Ma iniziamo a parlare di te, e del tuo passato. Tu nasci qui in Liguria e proprio da qui muovi i primi passi nel mondo del calcio.

«Sono partito dal settore giovanile della Sampdoria, a 17 anni mi sono affacciato al calcio dei grandi, in Serie D, con il Chiavari Caperanese. Dividerei la mia carriera in due parti: una prima, in cui ho commesso un po’ di errori… e una seconda, in cui fortunatamente sono riuscito a comprenderli, e crescendo ho cercato di non ripetere, provando sempre a migliorarmi. Forse ho finalmente messo la testa a posto. La svolta è arrivata proprio quando ho avuto la forza e la tenacia di ripartire».

Quali sono stati gli errori di cui parli in quel primo periodo della tua carriera?

«Ho passato quella fase in cui magari credi di essere più bravo degli altri, e quando sbagliavo cercavo di dare la colpa ad altro, o ad altri, quando in realtà era sempre e solo mia. A un certo punto, sono arrivato persino a pensare di non giocare più. Dopo l’esperienza di Parma infatti, sono stato in due squadre di Serie C, e in quel periodo non so, forse non avevo la testa: in campo, durante gli allenamenti, nei rapporti con le squadre e le società… non riuscivo ad assumere un comportamento da professionista.

Se potessi tornare indietro, qualcosa cambierei: quando avevo 19 anni per esempio sarei dovuto andare a giocare alla Spal, in C2. Ricordo ancora molto bene che era un venerdì quando arrivai lì, e non so perché nella mia testa stavo già pensando che non era per me, rimanere lì non lo sentivo giusto. Così, ho fatto le valigie e sono letteralmente scappato: per un po’ hanno provato  a convincermi, cercando di farmi tornare. Ma non c’è stata storia, e così sono rimasto fermo per circa cinque mesi. Ero giovane, e non sapevo a cosa mi avrebbe portato questa scelta: ho buttato via tre/quattro anni della mia carriera per tornare dov’ero, faticando il doppio. Come vogliamo chiamarlo? Un errore di gioventù, stupidità? In quel momento davvero, non gli davo proprio peso! Ma poi con gli anni ho capito. In fondo, è servito anche questo: i successi, le soddisfazioni e i miglioramenti passano anche e soprattutto dagli errori».

 

marco firenze

Marco Firenze al Sestri Levante.

 

E forse quella con il Sestri Levante è stata un po’ la stagione “crocevia”, un passaggio importante della tua crescita calcistica ma soprattutto personale, “l’anno della rinascita”.

«Beh, quella è stata una stagione indimenticabile e che porterò sempre nel cuore. Sono arrivato al Sestri Levante nel periodo più buio della mia carriera: nessuno aveva più fiducia in me, e io stesso ero il primo a non averne. E così sono ritornato a casa. A Sestri ho trovato un ambiente meraviglioso, fatto di persone altrettanto meravigliose con cui ho stretto un rapporto bellissimo: a partire dal Presidente Risaliti, Raffo, l’allenatore Baldini, i compagni di squadra… Con questo gruppo abbiamo raggiunto un traguardo storico per la società, abbiamo portato allo stadio tanti tifosi, ed è stata un annata importante per me anche a livello personale, perché mi ha permesso di comprendere tante cose. Grazie a questa parte della mia vita, ho ritrovato la forza e la tenacia di ripartire».

Cosa sei riuscito a capire?

«Nel mio piccolo, ho capito che le sole qualità e capacità non bastano per andare avanti nel calcio, così come nella vita e in qualsiasi lavoro. Bisogna avere l’atteggiamento giusto, lavorare tanto e cercare sempre di migliorarsi… l’anno a Sestri Levante è stato fondamentale sotto questo punto di vista, perché ha segnato la mia ripartenza. Come ti ho detto prima, avevo perso fiducia in me stesso, e a Sestri sono riusciti a farmela ritornare. Da quel momento in poi, ho mosso il primo passo all’inseguimento del mio sogno. Quel periodo mi ha permesso di ritornare sulla strada giusta: sicuramente è la stagione che porto più nel cuore di tutta la mia carriera sino ad oggi».

Una carriera già di altissimo livello, nonostante la tua giovane età. Ed è Bellissimo il fatto che quella con il Sestri Levante rimanga comunque la stagione che porti più nel cuore.

«Ve l’ho detto, quello è stato l’anno della mia rinascita: successivamente ho raggiunto buoni risultati e vissuto momenti davvero bellissimi, ma quell’anno per me è stato fondamentale. E ho ancora tanta strada da fare… »

 

Marco Firenze

Marco Firenze approda al professionismo.

 

Per i giovani sei la dimostrazione che con determinazione, sacrificio e impegno ci si può rialzare da qualsiasi caduta. Che consiglio daresti alle nuove generazioni che sognano un futuro nel mondo del calcio?

«Lavorare. Lavorare ogni giorno per migliorare i propri difetti, lavorare sui propri limiti. La perseveranza è una qualità che non tutti gli sportivi hanno… se riesci a combinarla a talento e voglia di emergere puoi fare il salto di qualità. Poi, ci vuole anche tanta pazienza perché il lavoro è duro e il cammino è lunghissimo e in salita. Non bisogna mai arrendersi, mai abbattersi alle prime difficoltà. In questo modo, il viaggio porterà dove sarà giusto per le tue potenzialità. Bisogna cercare di non avere rimorsi, andare forte e sfruttare sempre tutte le occasioni al massimo delle proprie possibilità: tutti noi possiamo fare qualcosa d’importante in questo modo».

Hai mantenuto i rapporti con qualcuno del Sestri Levante? Ricordiamo un feeling pazzesco in campo con Longobardi ad esempio…

«Sì certo, con Longobardi ci siamo sentiti giusto due settimane fa. Ma sono ancora in contatto con tantissimi ragazzi di quel Sestri Levante… era un gruppo veramente splendido. A volte le vite ci portano lontano, ma quello che si è vissuto insieme non si dimentica mai, saremo per sempre in ottimi rapporti».

Arriviamo dunque alla seconda parte del tuo viaggio: in lungo e in largo per tutto il nostro Paese…

«Dopo l’annata con il Sestri Levante, ho fatto quell’importante doppio salto dalla Serie D alla Serie B. È tutto completamente diverso, davvero un’altra cosa… a livello tecnico, intensità, ritmo. Mi prese il Crotone, era il Crotone di Juric che poi vinse il campionato e approdò in Serie A: io purtroppo però ero ancora giovane e senza esperienza, e quell’anno ho giocato davvero poco. Così, ho dovuto fare un po’ di gavetta prima di ritornare in Serie B: ci sono riuscito, e oggi ti dico che questa gavetta è necessaria per acquisire esperienza».

Hai giocato in piazze importanti… soprattutto al sud.

«Al sud i tifosi provano un amore diverso per la propria squadra, quasi viscerale. Loro vivono di calcio e si rappresentano nelle loro squadre. Crotone e Salerno sono due delle piazze in cui mi sono trovato meglio in assoluto: e poi, giocare davanti a diciotto mila persone è qualcosa di straordinario… al Nord, in pochi possono contare su questo amore da parte dei propri tifosi».

 

marco firenze

Marco Firenze alla Salernitana.

 

Ma non ti è mai mancata casa? Ti sentiamo davvero molto centrato e determinato nel raggiungere i tuoi obiettivi ma… Hai mai pensato anche solo per un momento di mollare tutto?

«Mi è sempre mancata. Sono andato via di casa che ero praticamente un bambino, avevo solo quattordici anni: ho dovuto sin da subito crescere in fretta, adeguandomi a questa vita. Poi con il tempo mi sono abituato a stare da solo. Bisogna fare tantissimi sacrifici per il calcio, e diventano sempre maggiori quando gli obiettivi si fanno più grandi. Tante volte ho vacillato, mi è mancata casa, la famiglia, gli amici… o semplicemente fare le cose normali, che fa ogni ragazzo della mia età. Ma la voglia di rincorrere il mio sogno mi ha sempre dato la forza di continuare».

Apriamo il capitolo allenatori: ne hai avuti tanti… quali sono stati i più importanti per la tua carriera? 

«Grassadonia e Baldini sono stati due allenatori fondamentali per me. Per Baldini, vi rimando al discorso fatto sul Sestri Levante: è stata una persona fondamentale in un periodo difficilissimo della mia vita. Di Grassadonia invece vi posso dire che mi ha davvero aperto un mondo nuovo: con lui sono riuscito a fare sempre benissimo. E di base, entrambi hanno una cosa in comune: prima di tutto, sono uomini veri. Il rapporto umano per me viene prima di tutto. Sono fatto così: se manca quello, è tutto in salita. Entrambi sono riusciti a darmi qualcosa sia dentro che fuori dal campo… e secondo me avranno un grande futuro. Un altro allenatore con cui mi sono trovato molto bene è Stroppa: secondo me lui ha grandi idee, sarà il prossimo talento emergente nel panorama calcistico italiano».

C’è qualcuno invece con cui non ti sei trovato bene?

«In realtà più di uno… sono una persona molto particolare! E non ho peli sulla lingua, quindi vi posso fare tranquillamente un nome: Giampiero Ventura, che ho avuto a Salerno. Sicuramente è uno degli allenatori più forti in circolazione, del resto se era riuscito a diventare tecnico della Nazionale qualche motivo ci sarà stato… ma per il resto, davvero poca roba. Tanti giocatori si sono lamentati di questo. Nonostante mi trovassi bene a Salerno, io sono andato via per lui: non riesco a fare finta di niente, forse è il mio più grande difetto». 

Sei andato via da Salerno e a gennaio sei arrivato a Venezia, dove purtroppo a causa di questa disgrazia hai potuto fare ancora pochissimo…

«Eh si, purtroppo è stato davvero troppo breve: ho giocato solo quattro partite prima che interrompessero tutto. Mi trovo bene, poi ero già stato a Venezia quindi conoscevo già ambiente e società: è stato facile ambientarsi. È successa una disgrazia dalla quale per fortuna stiamo lentamente cercando di rialzarci. Credo che il movimento calcio sia importante, e mi dispiace che ultimamente, in televisione o sui giornali, stia passando un messaggio sbagliato. Il calcio non è solo Cristiano Ronaldo che arriva a Torino con il jet privato. Il calcio è un’azienda che da lavoro e da mangiare a un sacco di persone e famiglie: magazzinieri, cuochi, fisioterapisti… scendendo di categorie, anche a livello dilettantistico, penso anche a chi gestisce ad esempio i bar adiacenti agli impianti. Per questo, il mio augurio è che tutto possa ripartire il prima possibile, proprio per queste persone che sono realmente quelle che hanno necessità che tutto il movimento riparta. Poi, a livello personale il calcio mi manca tantissimo e spero si possa ripartire anche per questo… ma sinceramente, credo ci voglia ancora un po’ di tempo».

 

Marco Firenze con la maglia del Venezia.

 

Hai mai avuto a che fare con ingiustizie?

«No. Secondo me sono cose accadono più spesso forse a livello dilettantistico: più la piramide si stinge verso l’alto, più le qualità e le capacità diventano importanti per poter giocare e farsi spazio. Forse, con qualche “spintarella”, puoi giocare uno o due anni al massimo a livello professionistico… ma alla lunga, se non hai capacità, ritorni da dove sei venuto. Ho sentito tanti lamentarsi di questa cosa: per me non è assolutamente vero, anzi, credo che questa sia la giustificazione per chi non riesce a realizzarsi. Sarà che io sono partito dal fondo del pozzo, cavolo, e nessuno mi ha mai regalato niente… anzi!».

Sei partito dal fondo del pozzo… qual’è il punto di arrivo? Qual’è il tuo sogno nel cassetto?

«Raggiungere la Serie A. Sono un gradino sotto, a un passo… un ultimo sforzo. Cercherò di trovarmi nella situazione giusta, giocare un campionato importante e di continuità. Quando e se riuscirò mai a calcare un campo di Serie A… sarà il coronamento di tutto questo viaggio. Ripenserò al passato, guarderò da dove sono partito, e sarà un emozione grandissima: spero di riuscire a realizzare questo sogno il prima possibile. Se non riuscirò? Vorrà dire che non l’avrò meritato…  Anche se, dopo tutto sto casino, non riuscire sarebbe proprio brutto… ma sono sicuro: prima o poi, ce la farò».

 

E noi te lo auguriamo Marco. Qualcuno una volta ha detto: non giudicatemi per i miei successi, ma per tutte quelle volte che sono caduto e sono riuscito a rialzarmi. Nel mondo del calcio spesso un errore può essere fatale, e non tutti hanno la bravura e la determinazione di riuscire a ripartire, soprattutto quando si è così giovani ed è molto più facile commettere errori. Marco Firenze ce l’ha fatta ed è ancora lì, a inseguire il suo sogno. Questa è un’intervista a un grande personaggio, la storia di un ragazzo nato qui, in Liguria, e che sta riuscendo ad affermarsi a livello nazionale. Ma questa è anche una grande lezione, per tutti quei ragazzi che come lui hanno il sogno di percorrere una carriera nel calcio: non c’è niente di male a cadere, ma è sbagliato rimanere a terra e smettere di credere di potercela fare.

 

 

 

 

Foto copertina: Marco Firenze in “Ma se ghe penso”

 

 


Marco Firenze in… “Ma se ghe Penso”, rubrica di Dilettantissimo.

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