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Le Malvinas, il conflitto del Beagle, il Tango, Gardèl, il Mate. E poi ancora il Colòn, Maradona, l’Inter, il Parma e Malta. Sono tutte parole chiave di un’intervista che sfocia nel romanzo…di viaggio ovviamente…

Un racconto che diventa viaggio, con quella voce che più si avvicina alla sua terra e più ne prende quasi i tratti somatici oltrechè l’accento inconfondibile e qualche termine che non necessita di traduzione, perchè è bello così, perchè rientra perfettamente nell’ordine delle cose, perchè basta la sua musicalità per spiegarne il significato. Un viaggio che diventa storia, anzi storie, quelle di un’epoca travagliata, quelle di figure talmente iconiche che sembra quasi strano sentirne parlare con quella familiarità di chi ne è stato testimone diretto. Storie che diventano esperienze dirette in una vita, quella di SERGIO SOLDANO che all’alba dei 60 anni sembrano due o tre di quelle di tutti noi.

Suardi (Santa Fè, Dep. San Cristobal)

Una storia che deve per forza iniziare da Suardi, un piccolo paesino di 6.000 anime nel cuore dell’Argentina, e non solo perchè sia il paese natìo di uno dei personaggi più straordinari del “nostro” calcio, quello dilettantistico, ma anche perchè è il termometro che dà la temperatura di una chiacchierata per leggere la quale sono consigilabili due cose: un porongo e una bombilla. Ci sarebbe anche da suggerire una musica, ma quella ce la mette l’inconfondibile parlata argentina anche perchè un’intervista con Sergio Soldano non può limitarsi al futbòl e infatti…

Parla pure in lingua madre Sergio, è bello e un po’ lo capisco… ho vissuto 4 anni con un cileno…

“Un cileno… eh ma sai che non corre buon sangue tra Argentini e Cileni. Dai tempi del conflitto del Beagle, poi, va be’, durante quello delle Falkland quando diedero appoggio agli inglesi. In realtà prima di questi episodi i nostri due popoli andavano anche abbastanza d’accordo.”

Partiamo proprio dalle Falkland, anche se un argentino continua a chiamarle Malvinas

“E’ una parte della nostra storia dolorosa e importante. Le Falkland hanno in qualche modo compromesso la mia carriera. Perchè mi avevano chiesto di fare il militare un anno dopo con la solita fortuna, quindi lo feci nel 1981, invece che nell’80. Giocavo al Colòn e quando finii la leva militare, immediatamente richiamarono quella leva per destinarla alle Falkland. Io non scappai come fecero in tanti e mi presentai regolarmente. Quando eravamo al molo con le famiglie però arrivò la notizia che l’Argentina si era arresa, era il 1982. Ma questa chiamata mi fece in qualche modo perdere tempo e quei treni che nel calcio devi essere pronto a cogliere, perchè passano poche volte.”

Argentini popolo caliente, anche con gli uruguayani è una sorta di amore e odio, forse perchè siete cosi vicini? e a tal proposito, ci vuoi togliere il dubbio una volta per tutte: il tango è nato in Argentina o in Uruguay?

“Con gli Uruguagi è guerra su tutto ma è una guerra che parte col calcio. Il Tango comunque è argentino, c’è una fase embrionale in cui entrambi i paesi possono giocarsi la sua paternità ma mentre suonarlo lo suonano tutti, a ballarlo sono solo gli argentini e il Tango è ballo. Quindi è argentino. E poi anche nel calcio. Sono sempre loro che vengono da noi a giocare e non il contrario. E’ una nazione piccola, ma tremendamente orgogliosa, per questo li stimo e, detto tra noi, è sempre e comunque meglio averceli amici.”

La tua è una storia incredibile e io mi voglio giocare subito il jolly: è vero che hai giocato contro Maradona?

“Sapevo che prima o poi me l’avresti chiesto. Maradona da dopo quello che fece in poi per noi è diventato un simbolo, un eroe nazionale, nonostante una vita non proprio regolata al di fuori del campo. Ma quello che ha fatto in campo e quello che ha rappresentato per il nostro paese e non solo, ci fa passare sopra a tante cose anche perchè lui certo un po’ si è rovinato ma non ha rovinato nessuno.” 

SERGIO SOLDANO: “MARADONA SI E’ ROVINATO, MA NON HA MAI ROVINATO NESSUNO”

“Io lo incontrai per la prima volta nel 1974. Io sono del ’60, proprio come lui. Il mio paese è un centro abitato di circa 6.000 persone, un microbo per la vastità dell’Argentina. Un paese di pastori che produceva 2.000.000 di litri di latte al giorno ma a parte quello, niente. Sarebbe stato forse questo il mio destino ma in quell’anno con i ragazzi del paese fondammo una squadra e partecipammo al Torneo Evita Peròn uno dei tornei giovanili più importanti del paese. Prima dovevi vincere la fase provinciale poi andavi alle finali. Riuscimmo a qualificarci per le semifinali all’Embalse del Rio Tercero, dove in semifinale venimmo sorteggiati con los Cebollitas.”

La squadra di Maradona?

“Esatto. Che non era ancora el Dièz o el Pibe de Oro. Lo chiamavano Pelusa per la capigliatura ed era una squadra di piccoli fenomeni. Imbattuti da più di 100 partite. Con noi però soffrirono. Pensa, vincevamo 2-1 fino a quasi la fine della partita, poi Maradona mi saltò, io lo marcavo perchè a quei tempi l’8 marcava sempre il 10, e da lì nacque l’azione del pareggio. Andammo ai rigori e vinsero loro. Al gol vittoria Cyterszpiler, il suo primo allenatore che diventerà poi anche il suo primo manager, svenne per la tensione.”

Si vedeva già che era fuori dal normale?

“Guarda, mi è capitato poi di incrociarlo altre volte e quando ci giocavi contro o ti ci allenavi insieme, quello che cercavi di fare era di fissare le sue giocate come se stessi facendo delle fotografie perchè avevi la sensazione che certe giocate non le avresti mai più viste. A meno che non le replicasse lui. Tutto quello che faceva con il pallone ti chiedevi se sarebbe successo di nuovo. E la risposta era una sola. Certamente no, o meglio, certamente non da nessun altro.”

SERGIO SOLDANO: DI TUTTO QUELLO CHE FACEVA (MARADONA), TI CHIEDEVI SE SAREBBE SUCCESSO DI NUOVO” 

“La storia del calcio in Argentina si divide in quello che c’era prima di Maradona e quello che c’è stato dopo. Qualche mese fa mia figlia mi ha fatto vedere la storia di Maradona raccontata da Federico Buffa. E ho trovato un errore. Una foto sbagliata, hanno scambiato l’immagine di Carlos Solinas con quella di Mario Zanabria. Il primo era l’idolo del papà di Diego che giocava in un tridente con il papà di Perotti, a cui – con tutto il rispetto – il figlio Diego neanche allaccia le scarpe, e con Zanabria, che è mio cugino. Pensa che quando il Barcellona comprò Maradona dall’Argentinos e lo lasciò in prestito al Boca alla prima amichevole quando gli diedero il 10 di maglia Diego chiese al mister: “e il Maestro?”. Gli risposero che era il “maestro” che lo aveva voluto.”

E Federico Buffa ammise il suo errore?

“Certo certo. Mi ringraziò per la segnalazione. Chi meglio di me poteva saperlo. Comunque per sicurezza avevo fatto vedere la foto anche a mia moglie: senza dirle niente fermai la registrazione sull’immagine di Zanabria e le chiesi “chi è?”. Lei con sicurezza mi disse: Tu primo.”

Torniamo alla tua carriera. Siamo rimasti al Peròn, il torneo giovanile dal quale veniste eliminati da Maradona.

“Quel torneo ci fece conoscere e infatti arrivarono le prime richieste. Una addirittura del Boca, per un provino. La mia mamma però era un po’ triste perchè Buenos Aires è molto lontana da dov’eravamo noi. Se non che tramite Mario Zanabria riesco ad andare a provare al Colòn, la formazione “umle” di Santa Fè che era molto più vicina. Parliamo sempre di 400 km che mi feci sia all’andata sia al ritorno in autostop prendendo tutti i mezzi possibili, macchine, camion, trattori (ride, ndr) – ai tempi era così. Alla fine mi prendono e inizio a giocare per Los Sabaleros” 

Sergio Soldano con la maglia del Colòn

Erano anni difficili in Argentina?

“Difficilissimi. E anche questo un po’ compromise la mia carriera. Nel ’79 fui convocato in una rappresentativa dei migliori under 20 per completare la rosa che avrebbe partecipato ai mondiali di categoria in Giappone. C’era Maradona, ovviamente, e l’Argentina poi li vinse. Io onestamente ero il più “scarso” di fronte a giocatori come Pedro Pasculli, Meriaga, Barbas, Rinaldi, Sperandio. Ruben Rossi. Non mi portarono al mondiale u-20. Il calcio però è strano. Pensa che non portarono nemmeno Pasculli perchè scelsero Ramon Diaz, ma poi Pasculli vinse il mondiale nell’86, quello dei grandi. Pedro è un mio grande amico.”

In quegli anni tutti però “fuggivano” dall’Argentina?

“Non solo dall’Argentina, da Buenos Aires. Infatti tanti giocatori di medio livello andavano via dalla capitale. Era la fine degli anni ’70, cercavi soldi magari anche nelle categorie inferiori e cercavi di stare lontano da dove c’erano i problemi più grossi. E infatti anche io lasciai il Colòn per il Deportivo San Francisco che giocava nel Metropolitano, una sorta di campionato regionale, come un po’ meno della Serie C. Pagavano bene ma ho avuto tre anni sfortunati: Deportivo San Francisco, Belgrano di Paranà e Corrientes con Zanabria, vicino al confine col Brasile. In questi tre anni ho perso praticamente tre finali per essere promosso nei nazionali.”

SERGIO SOLDANO: “SI SCAPPAVA DA BUENOS AIRES, ERA MEGLIO STARNE LONTANO…”

“Stagioni in cui però feci bene e allora mi riconquistai per un anno la Serie B, col Banfield, faccio un anno e scendo in C al Flandria. Pagano meglio. In questi anni ho l’esperienza professionale più incredibile della mia vita: i miei allenatori sono Miguel Tojo, n° 10 del San Lorenzo e Roberto Telch, n° 5 del San Lorenzo. Quest’ultimo era il mio idolo assoluto di quando ero ragazzo. In una partita Brasile-Argentina al Maracanà marcava Pelè, era un volante, fece due gol e vincemmo 2-0. Di lui ho una maglietta originale col numero 5 di quando giocava nel San Lorenzo, ho provato a contattare il Papa, vale un sacco di soldi ma sono pronto a regalargliela, lui è tifoso del San Lorenzo. Non mi ha mai risposto e l’ho contattato tempo fa eh… ora ha cose più importanti a cui pensare, come tutti noi.”

E il viaggio in Italia?

“Il viaggio in Italia è nel 1985 perchè io ho tanti parenti. Un mio zio è Oscar Massei: dal Rosario all’Inter, un anno alla Triestina in prestito e poi una vita alla Spal, club al quale ancora adesso è molto legato. Ai tempi era difficile però prendere i documenti e in Italia potevi avere solo uno straniero. Mio nonno era originario di Pinerolo ma i documenti per la mia cittadinanza non arrivavano e mi hanno fatto perdere un sacco di tempo. Mio zio poteva farmi provare dovunque ma non chiamava mai per paura di dare fastidio, siamo argentini noi. E anche io infatti non facevo pressioni su mio zio. Mi allenavo da solo a Varese nel centro d’allenamento. Tutti i giorni. Un giorno da un macchinone scende uno abbronzato e mi dice che mi vede sempre allenarmi da solo, mi chiede come mai. Io gli dico che mio zio era Massei. Lui… era Anastasi…”  

Oscar Massei

E come ci sei arrivato in Liguria?

“Andai a giocare nell’Albese, in quarta serie. Facemmo benissimo e mi vide Mino Persenda, uno dei fratelli Persenda. Si innamorò di me e per convincermi mi disse due cose subito e una dopo: la prima che se io fossi andato a Carcare ci sarei rimasto per sempre. La seconda che non era proprio sul mare, ma il mare era vicino e comunque c’erano almeno 8 gradi in più rispetto ad Alba. La terza la scoprii dopo aver accettato: il campo era in terra e non in erba. Mi chiese scusa per non avermelo detto.”

In effetti poi ci sei rimasto per sempre in Val Bormida

“Sì, perchè gli anni passavano e ho cominciato a pensare alla famiglia. Facemmo ottimi campionati a Carcare, mi diedero il lavoro alla 3M, stavo benissimo. Poi, sai, ero uno straniero che arrivava a Carcare e ai tempi era una cosa rara. Pensa che venivano a vedere gli allenamenti sempre tra le 50 e le 100 persone in quegli anni a Carcare.”

SERGIO SOLDANO: “IN QUEI TEMPI A CARCARE VENIVANO 100 PERSONE A VEDERE GLI ALLENAMENTI”

“Di qui poi effettivamente non me ne sono più andato e con l’età sono sceso di categoria fino alla seconda perchè stavo già pensando a una carriera da allenatore e volevo conoscere tutte le categorie o quasi… la terza proprio non me la sentivo.”

E la tua seconda vita calcistica:

“Ho iniziato a girare il mondo. Sono Argentino. Prima col Parma, per tanti anni. Chiesi aspettativa sul lavoro e andavo soprattutto in Africa nei camp del Parma. Poi Sacchi chiuse tutto il progetto e andai all’Inter. Coi nerazzurri sono stato 7 anni in cui giravo una media di 5 paesi all’anno, 15 giorni da una parte, poi 15 da un’altra. Principalmente in Iran, Medio Oriente ma anche in Canada.”

SERGIO SOLDANO: “UNA VITA CHE TI DA’ TANTO, MA ANCHE CHE TI TOGLIE QUALCOSA”

“Mi sono calmato per qualche anno, ho allenato anche una Prima Squadra, poi però il richiamo del mondo è stato troppo forte e sono partito per Malta. Anche sull’isola ho fatto sette anni come coordinatore degli allenatori, head coach dell’Under 16 e Under 17, davo una mano all’allenatore della Nazionale Maggiore. Esperienza bellissima e stimolante. Affrontavamo nazionali con 60.000 tesserati e noi dovevamo sceglierne 24 su poco più di un centinaio.”

Solo giovani?

“Tendenzialmente sì. Quando ho allenato in Eccellenza in Liguria feci una scelta impopolare di “fare fuori” i vecchi. Una volta uno perchè pioveva mi disse che non voleva allenarsi. Io gli ho detto pure di non farlo e ho messo in campo i giovani. Non capisco proprio, per me l’allenamento era la cosa più bella di tutta la settimana. Più della partita. Venni “fatto fuori” io poi, proprio dai senatori. E allora mi chiedo: ma che calcio è questo? Come spesso mi chiedo: possibili che squadre (liguri) che hanno centinaia di ragazzi di settore giovanile, parlo a livello di Serie D, poi quando leggi le distinte della prima squadra, di questi ragazzi non ne trovi uno? Io sto bene a Cairo, quando sono in Italia do una mano alla Cairese, e sto bene con Beppe Maisano, perchè se guardi la formazione, Saviozzi, Facelo, Prato e tanti altri, sono ragazzi cresciuti nel settore giovanile e il calcio a questi livelli deve essere questo. Beppe mi chiede sempre giovani da mandargli all’allenamento.”

E per te cos’è il calcio:

“Il calcio per me è tutto, è stato il mio passaporto per il mondo. In Argentina (e anche Brasile) si dice che tutti i maschi vogliono fare i calciatori e tutte le femmine vogliono fare le veline. Ed è davvero così. Nel mio paese è una cosa molto seria, che esula dai soldi. Per il calcio si fa tutto. La finale di Sudamericana dell’anno scorso: Colon-Ind. del Valle. Da Santa Fe la gente è partita per il Paraguay a piedi o in bicicletta, o vendendosi il cane e ad Asuncion erano in 50.000. Questo è come sente il calcio un argentino.”

Hai rimpianti nella tua carriera?

“Rimpianti no. Forse avrei potuto avere un po’ più fortuna ma anche molta più sfiga. Mi spiego. In alcune circostanze avrei potuto avere più fortuna: quando mi misi d’accordo per Malta andai nell’ufficio di Bjorn Vassallo (braccio destro di Infantino) ci mettemmo d’accordo sulla parola, senza firmare nulla, e mentre scendevo dall’ascensore mi suona il telefono. Era Marotta che si informava per un eventuale ruolo da darmi. Io dovetti declinare, anche se non avevo firmato niente. Avevo dato la mia parola. Mi disse “tranquillo avremo modo di fare altre cose”. Oppure avrei potuto avere anche sfortuna. Ho girato il mondo e non ho mai avuto niente, di salute intendo. Andai in Cina in piena emergenza SARS o in Africa in mezzo alla malaria. Dipende sempre da come la vedi.” 

SERGIO SOLDANO: “AVREI POTUTO AVERE PIU’ FORTUNA, MA ANCHE MOLTA PIU’ SFIGA”

“E poi ho avuto maestri come Menotti, ho giocato con e contro Diego Armando Maradona. Sono stato prima compagno, poi giocatore del mio idolo di quando ero ragazzino. Credo che queste esperienze mi possano solo far sorridere perchè mi rendo conto che sono privilegi che non tutti hanno nel corso di una normale vita.”

E, in conclusione, il calcio ti ha più dato o più tolto fino ad oggi?

“Sai che me lo chiedo spesso anche io? Però penso che nella vita ci sono due portafogli: uno per i soldi e uno per la gente che incontri sulla tua strada. Se la penso cosi il calcio mi ha dato tantissimo e non di soldi, comunque mi ha permesso di vivere dignitosamente, ma in amicizie e conoscenze in ogni parte del mondo. Ed è sicuramente la cosa più bella. Ogni tanto qualche radio argentina mi chiama per qualche intervento. Non mi chiedono se mi ha dato o tolto, mi chiedono se rifarei tutto. E a questa domanda non ho dubbi su come rispondere: rifarei tutto e nella stessa identica maniera.” 

Anche noi rifaremmo tutto nello stesso modo. Anzi parleremmo per ora con questo personaggio straordinario del nostro calcio, Sergio Soldano, testimone di un tempo che sembra lontano ma che grazie a lui abbiamo toccato con mano. 

“Alcuni pensano che il calcio si giochi coi piedi. Sono gli stessi che pensano che gli scacchi si giochino con le mani.”

 

L’UOMO DEL GIORNO: la nuova rubrica di Dilettantissimo! Un’intervista al giorno ai volti noti del calcio dilettantistico ligure. Oggi è stato il turno di… Nicola Ascoli.

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