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“Il ruolo del portiere è un po’ bastardo. Per fare carriera, oltre alle capacità, ci vuole anche tanta fortuna”. Queste le parole di Cesare Dondero, portiere classe 1993 della Genova Calcio; una carriera quasi completamente in orbita Serie D, e quel professionismo che… un po’ per sfortuna, un po’ per scelte di vita, non è mai riuscito a raggiungere.

Cesare Dondero nasce a Moconesi nel 1993 e muove i suoi primi passi nel mondo del calcio partendo dalle scuole giovanili di Moconesi e Calvarese, poi Entella e Sampdoria sino alla Beretti. Anche se, a dirla tutta, Dondero non inizia proprio con il calcio la sua carriera sportiva…

Sin da piccolo il tuo sogno era fare il portiere?

“In realtà… da piccolo giocavo a basket! Ho iniziato a giocare a calcio molto tardi: avevo circa 10 anni. La mia vita da portiere è iniziata… da un brutto infortunio alla caviglia, perché l’unico ruolo in cui potevo giocare senza farmi male era questo. Devo dire che è un inizio un po’ particolare, però è così che sono diventato portiere: e dalla porta non mi sono più tolto“.

Ripercorriamo insieme la tua carriera… 

“Dopo i primi calci,  sono arrivato a giocare nelle formazioni Primavera di Sampdoria ed Entella: a Chiavari abbiamo anche vinto lo scudetto. Da lì inizia poi il mio lungo viaggio in Serie D: Lavagnese, Vado, Sestri Levante, Ligorna, e a Bergamo col Pontisola”.

Un’esperienza fuori dalla nostra Liguria da giovanissimo.

“Sì, avevo 23 anni: era il mio secondo anno ‘da vecchio’ diciamo (regola fuori quota, ndr). Quella del Pontisola era una realtà importante, del resto, come la maggior parte delle realtà lombarde in Serie D. Lì le squadre vengono seguite quasi in maniera maniacale, e il livello era molto alto: ho anche giocato con Ferreira Pinto… (ex Atalanta). Poi ho deciso di tornare a Genova, e sono andato al Ligorna”.

Guardandoti indietro… dove ti sei tolto le tue più grandi soddisfazioni?

“Come risultato sportivo, sicuramente ricordo con piacere la stagione alla Lavagnese: abbiamo lottato sino alla fine per i primi posti, raggiungendo i play off.
Ma anche la prima salvezza del Ligorna in Serie D è stata davvero una bella soddisfazione: ci siamo riusciti con tutte le difficoltà del caso, il cambio di società ecc… non era stato facile”.

 

 

E invece un rimpianto? Come mai non sei mai riuscito ad approdare nel professionismo, viste le tue capacità?

“Ho sempre fatto ogni scelta mettendoci tutto me stesso e cercando di dare il 100% della mia professionalità. Ho fatto tanti provini, ma sono stato anche un po’ sfortunato forse. Nell’anno migliore, col Vado, ricordo che feci il provino con il Carpi, ma sono finito in quel meccanismo difficile del ‘vecchio giovane’ e così… niente. Diciamo che qualche opportunità l’ho avuta, la fortuna non è stata dalla mia parte. Alla fine, il ruolo del portiere è bastardo: non bastano le capacità, ci vuole anche fortuna. Essere al momento giusto, nel posto giusto. E poi nella vita ho dovuto anche fare delle scelte personali: ho deciso di continuare a studiare, mi sono laureato e ora lavoro: anche per questo motivo ho deciso di scendere di categoria.

Non ho molti rimpianti. Forse, i sei mesi a Sestri Levante sono stati un periodo in cui le cose non andavano bene per me. Mi dispiace non essere riuscito a dimostrare di più e a rimanere in una piazza di tutto rispetto come Sestri, con una grande tifoseria e un bell’ambiente“.

Un allenatore o un preparatore dei portieri che ti è rimasto nel cuore e che è stato fondamentale per la tua crescita?

“Ne ho avuti tanti, è difficile rispondere a questa domanda: ho imparato che bisogna cercare di prendere sempre qualcosa, il buono, da ogni preparatore e/o allenatore, perché ognuno di loro ti lascia tanto. Sicuramente sono stati fondamentali per la mia crescita quelli che ho avuto nel settore giovanile della Sampdoria; e poi ti faccio il nome di un preparatore: Enrico Nicoli, che ho avuto all’Entella, mi ha dato davvero tanto; è stato come un secondo padre per me. Ancora adesso lo chiamo e continuo a confrontarmi con lui.

Come allenatore invece, ti dico Felice Tufano (settore giovanile della Sampdoria) e anche il mio attuale mister, Marco Corrado: ti faccio il suo nome per la visione di calcio che ha cercato di portare alla Genova Calcio, e soprattutto per il ruolo che attribuisce al portiere, più in senso moderno. È un allenatore che ha tanta voglia di fare e sono sicuro che si toglierà delle grandi soddisfazioni”.

A proposito di ruolo ‘in senso moderno’ del portiere. Tu sei anche nell’orbita del Beach Soccer. Che differenze ci sono a difendere la tua porta sulla sabbia e sull’erba?

“Sì, gioco nell’Entella Beach Soccer. Abbiamo iniziato lo scorso anno dopo quella sorta di fusione con i ragazzi del Bragno. L’anno scorso in Serie A ci siamo salvati abbastanza tranquillamente, anche se è stata un’annata abbastanza tosta. Devo dire che c’è tanta differenza: il terreno è diversissimo, il campo è più ristretto; è proprio un altro modo di parare. La tecnica diventa fondamentale: devo dire che da quando ho iniziato a giocare a Beach sono migliorato davvero tanto dal punto di vista tecnico. E poi sei costretto a lavorare molto di più con i piedi, partecipi molto al gioco della squadra”.

 

 

Il portiere tra i professionisti a cui ti ispiri e/o che è stato il tuo idolo da ragazzino?

“Sono un po’ combattuto, perché di idoli ne ho avuti due: Francesco Toldo e Alessio Scarpi. Toldo ai nostri tempi era l’idolo di tutti, fra gli italiani era sicuramente uno dei più forti.
La mia fede è rossoblù, quindi ti dico anche Scarpi: forse non è diventato molto famoso, ma secondo me tecnicamente avrebbe potuto meritare molto di più. E poi di lui stimo molto la sua umiltà. Oggi è il preparatore dei portieri del Genoa, e sono sicuro che si toglierà delle soddisfazioni”.

E invece tra i dilettanti, c’è qualche collega che ti ha impressionato?

“Ce ne sono tanti. Negli ultimi anni, il portiere più completo e più forte che abbia visto è Claudio Scognamiglio del Ventimiglia. Ma ci sono altri portieri davvero validi nella nostra categoria, ad esempio Alessandro Trucco dell’Imperia e Alberto Moraglio della Cairese”.

Il giocatore più forte con cui tu abbia mai giocato, e l’attaccante che invece patisci di più?

“Il più forte è Carlos Franca, che ho avuto alla Lavagnese. Quello che invece mi segna SEMPRE è Andrea Croci: ci sono tanti attaccanti che ho patito, ma Croci credo mi abbia risparmiato giusto quest’anno. Quando so di giocare contro di lui, so già in partenza che ho parecchie probabilità di prendere gol 😂”.

E la coppia di centrali da cui vorresti essere sempre protetto?

Matteo Gallotti e Luca Riggio: sono due grandi giocatori e sorpattutto due persone squisite, due amici. Nello spogliatoio diventano fondamentali. Secondo me si completano anche come caratteristiche: sono anche due esauriti…”

A proposito, Andrea Raso ha detto che sei esaurito come tutti i portieri. Vuoi rispondere?

“Concordo con Raso. Nella vita di tutti i giorni sono una persona normale, ma in campo mi trasformo e cambio quasi personalità. Sono quel tipo di persona che deve sempre dire quello che pensa, anche in quei momenti dove magari non bisognerebbe parlare. In certe occasioni, dovrei mangiarmi la lingua e contare fino a dieci, ma non ci riesco quasi mai.  Sono un esaurito, ma come lui del resto 😂 e colgo l’occasione per dire che ci manca tanto nel nostro spogliatoio”.

 

 

Ma torniamo al presente. Una Genova Calcio che sino allo stop forzato stava conducendo un campionato difficile, decisamente al di sotto delle aspettative iniziali.

“È stata una stagione particolare: abbiamo viaggiato meglio nel girone d’andata, in quello di ritorno ci siamo trovati un po’ in difficoltà. Per noi è stato molto difficile soprattutto perché, a differenza di altre squadre impegnate nella lotta salvezza, noi non siamo abituati. Ma sono sicuro che continuando a giocare ne saremo usciti: siamo un grande gruppo e una squadra giovane, con tutte le carte in regola per far bene e per dimostrare di saper superare una parentesi negativa del nostro campionato”.

Che idea ti sei fatto? Come andrà a finire questa stagione, si concluderà o no?

“La vedo dura. Se si riprendesse, ci sarebbero una marea di problematiche, a partire dal fatto che siamo fermi da un mese e mezzo: sarebbe necessaria almeno una mini preparazione. Poi, soprattutto nel nostro mondo dei dilettanti, dall’Eccellenza in giù, ci sono molte persone che hanno un lavoro, e difficilmente, nel caso si possa ricominciare, potrebbero prendersi ferie per giocare in infrasettimanale, ad esempio. Senza contare le difficoltà che dovranno affrontare le società, soprattutto economiche.

Secondo me la cosa migliore sarebbe far finire il campionato, magari contemplando solo alcune promozioni (per esempio, quelle squadre che hanno un grosso margine di vantaggio) e ridisegnando la composizione dei vari gironi e delle varie categorie.

Quel che è certo è che il calcio cambierà. Si inizierà a vedere il calcio in maniera diversa, forse com’era una volta. A livello economico si ridimensioneranno i budget, diminuiranno le entrate degli sponsor. Comunque, le persone devono aver ben chiaro che cosa sta succedendo: siamo dilettanti, il calcio in questo momento così difficile per noi deve passare in secondo piano, prima viene la salute. È chiaro che il calcio manchi a tutti… ma bisogna tenere duro e rispettare le regole, per poter tornare al più presto a tirare calci al nostro amato pallone”.

Dove ti vedi in futuro?

“Spero di giocare ancora per un bel po’ perché ho ancora tanto da migliorare. Una volta smesso, mi piacerebbe riprendere ad allenare i ragazzi, come facevo ai tempi della Serie D, quando non lavoravo: mi piacerebbe diventare un preparatore dei portieri”.

 

 

 

 

 

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