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Quando chiamo Danilo Civardi, attaccante da 100 e più gol con la maglia degli Insuperabili, ha appena finito una videocall con i suoi compagni di squadra. “Stavo sentendo i ragazzi”, dice. Danilo, classe 1976, è il leader, il capitano: dal 2015, anno della nascita degli Insuperabili, gli è stata consegnata la fascia. “Fu una sorpresa riceverla”, racconta Danilo. Un onore e un onere, per nulla un riconoscimento simbolico quando si tratta di insegnare ad un gruppo così variegato gli antichi e genuini valori dello sport.
È proprio da questi valori che incomincia una lunga chiacchierata…

“Essere un punto di riferimento è molto importante. Sentire i ragazzi che mi dicono “Capitano pensaci tu” fa sorridere, ma mi dà anche responsabilità non indifferenti. I valori che cerchiamo di far rispettare sono… il sorriso, prima di tutto. Senza quello non si va avanti. E poi il comportamento negli spogliatoi: sembra normale, ma non sempre è così purtroppo. Ma la cosa che in questi anni ho cercato soprattutto di far capire loro è che sono veramente Insuperabili: il valore dello sport è l’impegno costante.”

Chi sono le figure più importanti nel percorso di crescita degli insuperabili, e a quali sei particolarmente legato?

“Ho avuto la fortuna di avere un allenatore molto particolare che è stato Rui Machado, un ragazzo portoghese che mi ha portato una cultura diversa: 32 anni, più giovane di me, mi ha insegnato tanto sul campo. Il mio mister di adesso, Emilio Devoto, mi sta facendo un po’ capire cosa vuol dire “essere dall’altra parte”, in panchina, che è un mio sogno nel cassetto. Stefano Fazzalari è il faro degli Insuperabili ancora prima che ci chiamassimo così. Mister Luigi Schettino, un monumento del calcio genovese. Loro mi hanno dato e stanno dando veramente tanto.”

Il rapporto con i tuoi compagni, mi pare di capire, è speciale.

“I ragazzi sono quelli che poi ti fanno realmente andare avanti: nel 2018 ho dovuto sostenere un’altra brutta operazione alla caviglia. È stata dura, ma i ragazzi non mi hanno mai fatto mancare il loro affetto: mi dedicavano trofei, vittorie, mi venivano a trovare in ospedale… ti fanno capire cosa vuol dire essere il loro capitano. Ma questo avviene in molti spogliatoi: determinati principi ci sono comunque, a prescindere che ci siano ragazzi normodotati o ragazzi con disabilità intellettivo-relazionali piuttosto che fisiche. Lo spogliatoio, secondo me, deve essere “da Real Madrid”: fuori dal campo siamo amici, abbiamo i nostri gruppi di Whatsapp, usciamo insieme. I legami di sei anni danno i propri frutti: i ragazzi non si sentono da soli. È importante. Una bella vittoria.”

Quali sono i ricordi più belli che hai di questa avventura con gli Insuperabili?

“Il primo trofeo è quello che non si dimentica mai: la vittoria della Coppa Italia è stato un insieme di emozioni particolari perché eravamo appena nati. Nel livello che oggi si chiama Promozionale siamo andati con la leggerezza che ci contraddistingueva e abbiamo battuto avversari come il Pinerolo, che oggi si chiama Juventus. E poi un torneo alla Sciorba, che vincemmo “contro i pronostici”, dal momento che c’erano tante squadre con ragazzi con disabilità meno penalizzanti delle nostre. Non mi sono mai sentito così libero nel vedere i miei compagni tranquilli. Questo ha fatto la differenza: anche se le altre squadre erano sulla carta più forti noi abbiamo dato tutto. C’era mio papà sugli spalti, vederlo piangere è un’emozione che mi porterò dentro per sempre.”

Hai parlato di libertà e tranquillità. Due concetti che a volte, nel calcio di oggi, vengono dimenticati.

“Hai ragione. Sono valori che dovrebbero esserci sempre in questo mondo, ma tante volte soldi, ambizioni e fattori extracampo prevalgono. Gli Insuperabili dimostrano a tutto il mondo che, quando si scende in campo, siamo tutti uguali. Poi, come tutti, abbiamo le nostre difficoltà: ci sono state partite in cui ci sentivamo meno tranquilli e giocavamo meno bene. Se è vero che la partita è il risultato degli allenamenti, in queste situazioni ci guardavamo tutti negli occhi al primo allenamento e cercavamo di capire e risolvere i problemi. Tante squadre avrebbero da imparare!”

Qual è il futuro di Danilo Civardi?

Allenare. Mi piacerebbe tantissimo continuare a vivere questo ambiente e, tramite gli Insuperabili, ottenere il patentino da allenatore per ragazzi con disabilità. Senza calcio non riesco a vivere, ora penso a giocare ma presto leverò le scarpette da calcio e infilerò quelle da ginnastica… così i miei ragazzi li faccio spompare!” (ride)

E il futuro degli Insuperabili? Ci sono molti giocatori professionisti che si sono avvicinati al movimento.
“Sì, tutto è partito da Giorgio Chiellini, quando ancora non ci chiamavamo nemmeno Insuperabili. È grazie a lui e tantissimi altri personaggi del professionismo che gli Insuperabili, che prima erano solo a Torino e Genova, ora hanno Academy in tutta Italia. Penso per esempio a Puggioni, che conosco personalmente, a Papu Gomez, che in Lazio-Atalanta ha indossato la nostra fascia da capitano e devoluto in beneficenza l’incasso della “Papu Dance”. Ma ci sono veramente tantissimi calciatori, mezza Serie A!

Anche il calcio femminile ci ha aiutato tanto, siamo anche stati ospiti della Nazionale Italiana. Recentemente abbiamo anche partecipato ad un torneo internazionale a San Marino sponsorizzato dalla UEFA. Tra i dilettanti volevo citare Andrea Raso, con cui sono cresciuto e a cui ho avuto il piacere di donare la fascia da capitano degli Insuperabili. Insomma, tanto è stato fatto, ma, purtroppo, non ancora abbastanza…”

Come mai, Danilo?

“Purtroppo, molti ragazzi con disabilità sono esclusi dai campionati nazionali. È terribile, la natura degli Insuperabili è proprio quella dell’inclusione, mentre invece, da quando per le società professionistiche è nato l’obbligo di allestire squadre disabili, si è andato via via scremando tante categorie fino ad escluderne tante. Tra cui la mia. È triste essere il capitano, allenarmi con i ragazzi e poi non poter giocare la domenica. E come me tantissimi altri ragazzi. Per questo spero che il mio appello giunga ai vertici della Federazione: ricordiamoci sempre che il calcio deve essere uno sport per tutti!

Insomma, queste iniziative federali sono assolutamente lodevoli e permettono di valorizzare e dare visibilità al calcio giocato da ragazzi con disabilità. Ma devono essere sempre, e mi unisco personalmente alle parole di Danilo, una possibilità per tutti, non per alcuni! Altrimenti, si rischia di essere controproducenti e buttare via anni di sacrifici, passione e sudore di tanti giocatori con disabilità che, in questo modo, si sentono doppiamente esclusi.

La mia telefonata con Danilo si conclude con una promessa: presto, quando questa terribile situazione sarà finita, in studio con noi a Dilettantissimo ci sarà anche lui, per parlare a tutti i nostri telespettatori di questa splendida realtà chiamata “Insuperabili”. Lo ripeto ancora una volta: si è fatto tanto in questi anni per questo mondo. Ma non ancora abbastanza.

Hai la mia parola, Dani.

Un abbraccio!

Tommaso Imperato

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