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L’intervista a Lorenzo Scalia ci permette di raccontare un’altra bellissima storia agli amanti del lato romantico del nostro calcio dilettantistico – e non. È la storia di un ragazzo di Finale, che a cinque anni inizia a giocare e tirare i primi calci a un pallone nella squadra del suo paese, vicino a casa sua, proprio come iniziano le storie di molti altri bambini con la passione per il calcio. Il racconto però diventa romantico, perché questo bambino nella squadra del suo paese ci rimane, ci cresce come giocatore e come uomo, stringendo legami, togliendosi soddisfazioni e infine diventandone capitano. Capitano di una squadra, e qunidi di un paese: sì, perché quando andava a fare la spesa, o usciva la sera con i suoi amici, la gente che lo incontrava per strada non lo salutava con il suo nome di battesimo, ma in questo modo: “Ciao Capitano“. 

E dopo venticinque anni, il ragazzo di Finale decide di uscire calcisticamente dal suo paese, alla ricerca di nuovi stimoli… ma senza mai dimenticarsi del grande amore che lo ha cresciuto e circondato per praticamente tutta la sua vita da giovane calciatore. Quel ragazzo ora ha trent’anni, e gioca nell’Albenga. Ma non finisce qui: perché anche ad Albenga, diventa capitano.

 

In questo caso, non sarà difficile ripercorrere insieme a te la tua carriera: 25 anni a Finale. Promozione, Eccellenza e Serie D… e capitano per circa cinque anni.

“Eh sì, ho iniziato a giocarci da bambino, avevo circa 5 anni, e sono andato via l’anno scorso: praticamente dopo venticinque anni. Ero diventato capitano del Finale circa cinque anni fa. È stato importante, perché a Finale essere capitano non era solo portare una fascia al braccio durante le partite: ero “capitano” sempre, per tutti: anche la gente che incontravo in paese, non mi chiamava più per nome. Sono stati anni importanti e intensi: il Finale in Serie D è stato un pò come l’Atalanta in Champions League. Era successo tutto in un modo così inaspettato e bello, che si respirava un’aria fantastica”. 

Cosa ti ha portato ad andare via?

“Ho preso questa decisione per una serie di fattori. Per me era arrivato il momento di cambiare aria: dopo tanti anni, e dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati (le promozioni in Eccellenza e in Serie D), gli stimoli iniziavano un po’ a mancare. Lì ormai ero il capitano, ero una certezza, la mia posizione era scontata: avevo voglia di rimettermi in discussione. Era da qualche anno che ci pensavo e poi, quando è arrivata la chiamata dell’Albenga, ho colto la palla al balzo. Era appena ritornato mister Pietro Buttu sulla panchina finalese, a cui sono molto legato, e mi è dispiaciuto molto: ma avevo bisogno di nuovi stimoli.

A Finale mi voglio tutti bene, e io voglio bene a tutti loro: tifosi, allenatore, società, compagni, magazzinieri, dirigenti… prima o poi ritornerò: Finale è dove vivo, dove lavoro. Tiferò sempre per loro, perché sono una grande famiglia per me”.

 

 

A proposito di Buttu… possiamo dire che è lui l’allenatore a cui sei rimasto più legato?

“Beh direi proprio di sì, per l’affetto che ci lega, ma anche solamente per un fatto temporale… è stato il mio allenatore per almeno dieci stagioni (anzi, qualcuna in più!). Mi sono sempre trovato molto bene con lui, siamo rimasti legati e molto amici. Ma anche con Solari e Caverzan ho avuto un ottimo rapporto: sono due allenatori preparati. Hanno idee di gioco completamente diverse, ma tutti e tre hanno le idee chiare. Inoltre, sono ottimi gestori del gruppo, sanno allenare e rapportarsi con i giocatori: e soprattutto, sono tre bravissime persone”.

 

 

E ora anche ad Albenga… subito capitano!

“L’Albenga ha rivoluzionato un po’ tutto quest’anno: un gruppo quasi completamente nuovo, e non c’erano “vecchi giocatori”. Tra l’altro, nessuno di noi praticamente aveva mai giocato insieme: ci conoscevamo, ma perché ci siamo incontrati da avversari sui campi. Si sta rivelando un’esperienza davvero positiva, e mi sto trovando bene. Abbiamo raggiunto la finale di Coppa Italia, e abbiamo ‘concluso’, se così si può dire, il campionato dietro a due corazzate come Imperia e Sestri Levante. A decidere il capitano in realtà è stato il mister, che aveva indicato tre giocatori: Io, Di Pietro e Gargiulo. A portare la fascia, sarebbe stato il più vecchio di chi partiva titolare. Gianni è andato via (all’Athletic, ndr), e io sono più anziano di Gargiulo: ecco come sono diventato il capitano dell’Albenga. Anche perché sinceramente, forse era proprio l’ultima cosa che avrei voluto: ero andato via da Finale proprio per fuggire dalle dinamiche di un ruolo che per sua natura non è praticamente mai messo in discussione. Però, è sempre un onore”.

Hai notato molte differenze nel cambio di società Finale-Albenga? Che tipo di rapporto hai instaurato con i presidenti?

“Finale è un posto tranquillo sotto questo punto di vista: il presidente Candido Cappa ha sempre preferito rimanere molto in disparte, e con lui ho sempre avuto un rapporto più che altro amichevole, oltre al normale legame giocatore-presidente. Ad Albenga è un po’ diverso, e sapevo di trovare un ambiente differente. Ho trovato nei presidenti delle ottime persone, sempre molto disponibili. Si vede che ci tengono molto alla società e al benessere di tutta la squadra, giocatori e staff”.

Dunque, un po’ di esperienza da capitano ce l’hai… che caratteristiche deve avere secondo te un buon capitano?

“Penso che ognuno abbia la sua personalità. Secondo me il capitano è il giocatore che caratterialmente rispecchia le caratteristiche della sua squadra: il ‘mio’ Finale era una squadra giovane e umile, e forse hanno trovato in me un capitano che fosse pacato e tranquillo. Non sono uno di quelli a cui piace alzare la voce per farsi rispettare… cerco sempre di portare la calma e trovare le soluzioni ai problemi”.

C’è qualcuno, tra i professionisti o tra i dilettanti, a cui ti ispiri per svolgere questo ruolo?

“Tra i professionisti, non ho dei veri e propri idoli. Seguo molto il calcio, sono un tifoso del Milan e ti posso dire che Paolo Maldini è un personaggio che stimo molto, una figura importantissima per i rossoneri sia in campo che fuori. A livello umano, credo debba essere d’ispirazione per tutti. Tra i dilettanti Enrico Perlo è stato un grande esempio per me: mi aiutava molto, e da questo ho capito l’importanza che ha rapportarsi nel modo giusto con i ragazzi. Lui per il calcio e per i suoi compagni avrebbe fatto di tutto: ci credeva e ci teneva molto, e ci portava a fare lo stesso”.

E tu, che tipo di rapporto hai con i giovani?

“Sai, in realtà io non credo di fare una divisione netta tra giovani e non giovani: anzi, spesso vado molto più d’accordo con i ventenni che con quelli della mia età. Certo, ogni tanto bisogna bacchettarli, ma per il loro bene e per il loro futuro: alcuni atteggiamenti che assumono non vanno bene. E secondo me va fatto notare in modo adeguato, senza sbraitare: poi, se non bastasse magari si può calcare un po’ la mano, ma sempre entro certi limiti. Imparare ad allenarsi in un certo modo e a lavorare con serietà e con sacrificio può contribuire a farli diventare dei giocatori importanti.

Poi, ci sarà sempre l’Edo Capra di turno che si ubriaca e il giorno dopo fa due gol… 😂 ma per lui bere è una fonte d’ispirazione!”.

A proposito di Edo Capra… oltre a essere il tuo socio nella vita lavorativa, credi che sia lui il più forte con cui tu abbia mai giocato?

“Sì, senza ombra di dubbio. In questa categoria non ha paragoni, è il più forte in assoluto, inarrivabile. Insieme col Finale abbiamo fatto anche la Serie D, e ricordo che pure lì facevano fatica a marcarlo. Ho giocato con tanti giocatori fortissimi… ma lui è di un altro pianeta“.

Quali giocatori ti porteresti sempre dietro?

“Oltre a Edo, che forse avendocelo già tutti i giorni al ristorante non mi porterei… 😂 porterei altri due cari amici: Sancinito e Puddu. Mi piacerebbe molto tornare a giocare insieme a loro, un po’ mi mancano” – E la fascia da capitano chi la prende? – “Facciamo una volta per uno: non sarebbe assolutamente la priorità”.

 

lorenzo scalia

 

Con l’Albenga quest’anno stavate disputando una stagione al vertice.

“Fosse stato il campionato dello scorso anno, a punti eravamo perfettamente in linea con la vetta della classifica. Quest’anno abbiamo trovato due avversarie come Sestri Levante e Imperia che stavano viaggiando oltre quel livello. Abbiamo sofferto tanto le partite rinviate e i recuperi che, insieme agli impegni di Coppa, ci hanno portato a giocare ogni tre giorni, cosa che nel calcio dilettantistico secondo me non è facile”.

C’è stato però un momento di difficoltà, con il conseguente esonero di Matteo Solari. 

“La squadra ha sempre dimostrato di avere grande fiducia nel mister: lui lo sa, ne abbiamo anche parlato dopo il suo esonero. Abbiamo sempre fatto il massimo, ci è dispiaciuto molto. La decisione è stata presa dalla società, sono loro a comandare, è legittimo e ne hanno assolutamente il diritto. Noi non abbiamo fatto altro che prendere atto della decisione e rimetterci totalmente a disposizione per il bene della società e della squadra. Credo che Solari abbia pagato un pochino le pressioni della piazza: qui ad Albenga le aspettative erano altissime. Mettere insieme e costruire una squadra da zero però non è facile, e lui aveva fatto un buon lavoro. Credo che la finale di Coppa contro il Sestri Levante lo abbia definitivamente condannato: che partita maledetta…  

La partita crocevia della stagione secondo me è stato lo scontro diretto in campionato col Sestri Levante: siamo arrivati a quel match con l’energie praticamente azzerate. Cinque punti di distanza dalla vetta sono tanti, ma con otto partite a disposizione, chissà come sarebbe andata a finire”.

Secondo te alla fine, chi l’avrebbe spuntata?

“Tenendo conto degli scontri diretti, la favorita secondo me era l’Imperia: primi con un punto di vantaggio sul Sestri, con gli scontri diretti già disputati. Senza contare che il Sestri Levante aveva ancora le partite di Coppa da affrontare. Noi eravamo lì, pronti ad approfittarne…

Prima della sospensione, glielo dissi a Lupo:
Secondo me ora siete voi i favoriti
Se me lo dici tu, allora ci credo -“.

E ora lo stop. Che idea ti sei fatto di quello che sta accadendo?

Credo che sia impossibile riprendere a giocare, prima bisogna risolvere altre cose. Poi ti dico: per noi dilettanti, e per come ho potuto conoscere questo mondo, giocare d’estate, ad esempio, sarebbe quasi impossibile. Conosco almeno una trentina di giocatori importanti che nella stagione estiva lavorano come bagnini, o nei bar e nei ristoranti… non sarebbe facile trovare il tempo di allenarsi e giocare due o tre partite alla settimana. E io sono uno di quelli: nel caso si andasse in questa direzione, non so se riuscirei a conciliare tutto”.

Guardandoti indietro: hai dei rimpianti?

“Sarò sincero, ti rispondo di no. Perché non mi è mai capitata ‘un’occasione della vita’, quella che ti fa svoltare: sono sempre rimasto a Finale perché non ho avuto tantissime altre scelte: poi lì stavo bene, ho deciso di rimanere e ne sono felice perché con il Finale sono riuscito a raggiungere tutti gli obiettivi prefissati. Volevamo andare in Eccellenza, e ci siamo arrivati; volevamo andare in Serie D, e ci siamo arrivati.

Ecco, forse un piccolo rimpianto l’ho trovato: la retrocessione con il Finale dalla Serie D. È stato un anno maledetto: avevamo una squadra molto competitiva, ma non siamo riusciti a risolvere totalmente delle problematiche che abbiamo avuto all’interno dello spogliatoio. Ed è mancato proprio questo: l’unione, forse, ci avrebbe potuto tirare fuori da quella situazione permettendoci di riuscire a mantenere la categoria”.

 

lorenzo scalia

 

Per concludere, ti chiedo invece i ricordi più belli: in un gol, una partita e una stagione.

“La stagione è sicuramente quella in cui con il Finale abbiamo vinto il campionato di Eccellenza: rimarrà per sempre nella storia della società, del paese e di tutti noi giocatori che abbiamo partecipato all’impresa. È stato un anno fantastico, per tutti: a inizio anno, ci davano come squadra da retrocessione, e invece… ventidue partite senza sconfitte!

La partita più importante in quel campionato è stato lo scontro nel girone di ritorno contro il Magra Azzurri: in un quarto d’ora li abbiamo disintegrati. Ricordo che lì avevo capito per la prima volta che forse ce l’avremmo fatta.

E un gol… anche se certamente ne ho fatti di più belli, ti dico quello che ho segnato sempre in quella stagione, nella penultima giornata a Rapallo. Segnai dopo dieci minuti: a livello d’importanza, è stato uno dei migliori gol che abbia mai realizzato”.

Cosa ti riserva il futuro?

“Ora penso a giocare e fare bene, poi si vedrà. Mi piace allenare… vedremo. Sicuramente, il mio futuro, in qualche modo, sarà sul campo”.

 


QUESTA ERA LORENZO SCALIA IN “CAPITANO, MIO CAPITANO“, UNA DELLE RUBRICHE DI DILETTANTISSIMO!
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