Quando finì su tutti i giornali sportivi, nel 2012, per aver parato 7 rigori su 7 con la maglia dell’Entella, Andrea Bertulessi era considerato da tutti uno dei portieri più promettenti del panorama ligure. Oggi, Bertulessi ha fatto una scelta diversa, una scelta di vita che lo porterà a cambiare prospettiva: da portiere a medico, dall’area di rigore alla corsia degli ospedali. E forse è proprio nella sua futura professione che si nasconde la più bella parata della sua vita. Ma il calcio è rimasta una passione indelebile che lo accompagnerà per sempre, e sentendolo parlare non possiamo che trovarne la conferma.
Andrea, da tre anni difendi la porta della Superba. E lo fai molto bene, visto che tutti i mister ti votano come miglior portiere della categoria…
La Superba è il mio nido. È una squadra incredibile, una società splendida composta da uomini veri e di parola. Un gruppo pazzesco, ti nominerei uno ad uno tutti i miei compagni, da Pelosi, al nuovo acquisto Rasero, a Ragaglia che è il difensore più forte con cui abbia mai giocato. Stiamo facendo un grande campionato, potevamo essere lassù… peccato per gli infortuni di Scalamera, Donati, Minelli. Rispetto a tanti concorrenti avevamo una squadra più giovane e con meno nomi altisonanti. La Voltrese sulla carta è fortissima, penso al mio collega Mancuso, Cardillo, Zamana… però i miei compagni hanno dimostrato, soprattutto nelle difficoltà, di poter mettere in difficoltà chiunque e fare un bel campionato.
Eh, direi, siete secondi in classifica.
Secondi o terzi, ora non ricordo perché non guardo mai la classifica, sono troppo scaramantico! Ogni sabato a mezzogiorno mangio la pasta al pesto, ascolto le solite 5 canzoni. Ho la mia divisa del sabato con cui non prendo gol. La cabala è fondamentale.
Raccontaci la tua carriera, partendo dagli inizi.
Ho iniziato facendo 6 mesi da difensoraccio centrale al Marassi Quezzi, a 5 anni. Non vedevo mai il campo, ero scarsissimo. Però con tanti di quei ragazzi sono rimasto amico. Poi un anno all’Athletic: iniziai a fare il portiere per caso. Mancava il titolare, non sapevano chi mettere e io ero quello di cui si sarebbe sentita meno la mancanza in mezzo al campo… non mi sono più scollato dalla porta! Sono andato al Genoa, ho fatto 3 anni in rossoblu e sono tornato a casa. All’Athletic, che è casa mia.
Dico sempre a mia mamma che vorrei finire la carriera all’Athletic. Ero anche stato vicino a tornare tanti anni fa ma poi non se ne fece nulla. Poi, mentre ero all’Athetic, facemmo un’amichevole con l’Entella. Qualche tempo dopo mi chiamò e iniziai uno splendido percorso: dai giovanissimi alla Beretti. Un ambiente bellissimo, dove giochi con serenità e ti alleni con allenatori strepitosi, come il preparatore dei portieri Niccoli, he ha nominato anche il mio amico Dondero.
E anche i rapporti con i compagni rimangono forti: sento ancora i vari Argeri, Ercolani… L’anno dopo l’Entella mi mandò in prestito a Vado in Eccellenza. Un anno molto intenso, in cui vincemmo il campionato con una corazzata devastante: Soragna, Balbo, Capra, Battaglia, Matteo e Fabio Rossi, Mura, D’Asaro, Gallotti… e condivisi la porta con un grandissimo portiere, Iliante. A Mister Fresia piace giocare con il giovane quindi giocai molte partite, ma da Iliante ho imparato veramente tanto. L’anno dopo sono tornato a Chiavari, nel Caperana, dove feci da secondo a un portiere incredibile: Giuseppe Stancampiano. Pur non giocando, sono cresciuto tantissimo quell’anno.
È stato però anche l’ultimo anno di calcio prima del tuo stop.
Sì, perché quell’anno mi cambiò la vita. Tentai un test di medicina abbastanza a caso. Lo passai e mi iscrissi a medicina. Logicamente il calcio non era più una priorità, mi fermai due anni per studiare. Quattro anni fa sono riuscito a riprendere, grazie all’oasi felice di Pieve: un ambiente fantastico di persone speciali, dal Pres Poroli al mister dei portieri Balbi. Una festa incredibile, compagni che ricordo tutt’ora con affetto, penso a Files, Andrea Poroli… Se non finisco la carriera all’Athletic la finisco a Pieve, se mi vogliono ancora!
E poi l’esperienza alla Superba.
Prima ci fu un anno a San Gottardo, con Gullo in panchina. Ho ricordi bellissimi di San Gottardo, dal pres Pasquale ai vari Fra Biggi, Lodi, Romei, Favali, Prestanizzi, Traverso… eravamo una squadra incredibile. Un ambiente dove le persone lavorano con passione. Poi sono passato alla Superba, e quando trovi una famiglia del genere… come fai a staccarti? Penso al DS Carlo Durante, che ogni giorno ci manda i messaggi che finisce con “Alè Superba”, ha un’attenzione e un tatto per qualsiasi problematica, e a mister Pisani, una persona che ci sa fare e ci mette il cuore. Non ti viene neanche da pensare “cosa faccio l’anno prossimo?” Io resto qua, non c’è nemmeno da pensarci. Ci sono una società solida e un settore giovanile florido che ci fornisce tanti giovani fortissimi.
Qual è il ricordo più bello della tua carriera?
A Chiavari, a 17 anni. Parai 7 rigori su 7 in campionato con la Beretti dell’Entella. Finii sui giornali, tengo ancora gli articoli appesi in camera, vicino alle coppe di quando ero bambino.
Sappiamo che tu hai un’altra grande passione, che è quella di allenare i ragazzi.
Ho avuto grandi preparatori dei portieri, dal già nominato Niccoli, a Casazza, Porcu, Bianco, Gagliardi, e all’Athletic i mitici De Vecchis e Borsari. Allenare i “cucciolI” è incredibile. Quando scendo in campo, a prescindere da quello che faccio, mi sento bene. Allenare e mettere a disposizione la propria esperienza, vederli migliorare… emozione incredibile. Soprattutto in età “giovanissimi”, vedi miglioramenti costanti. Quest’anno purtroppo non sto allenando e mi manca!
Chiudiamo con un riferimento all’attualità… sono tempi duri per i tuoi colleghi medici.
Guarda, un rammarico che ho è quello di essermi iscritto tardi a Medicina, perché quando giocavo a Caperana mi presi un anno di pausa. Muoio dalla voglia di dare una mano e, se solo potessi, lo farei. C’è bisogno di tutti.
Andrea è un amico, oltre che un grandissimo portiere. Quando Simone Maggi ha lanciato questa graditissima rubrica dedicata ai portieri non ho potuto non pensare ad Andrea Bertulessi, che prima di essere un numero 1 in campo, lo è soprattutto nella vita.
Buona fortuna, Bertu!
T.I.