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Non ti rendi conto di non aver mai vinto nulla nella vita fino a quando non incontri Alberto Ruvo, di professione vincente. Già, perché l’attuale tecnico del Sestri Levante, in 14 anni di carriera sulle panchine liguri e toscane, ha vinto 7 campionati e 1 Coppa Italia. La media spaccata di un trionfo in campionato ogni 2 stagioni, cui si aggiunge il plus della Coppa Italia di questa stagione (“Anche se l’avevo già vinta da giocatore!”). Una macchina perfetta la cui carrozzeria ha fatto immediatamente colpo sul presidente Risaliti, che superate le remore per il passano biancoceleste di Ruvo (fu capitano dell’Entella) lo ha chiamato sulla panchina dei corsari per riportare in Serie D una delle piazze più rappresentative del calcio ligure.

Mister Ruvo, tu sei conosciuto per essere un vincente. A quanti titoli sei?

“Campionati ne ho vinti sette. Ma ho avuto la fortuna di giocare quasi sempre in squadre che partivano per fare bene. Le vittorie dove ho avuto più soddisfazione sono state più di una: in certi anni era preventivabile da subito, ma l’anno scorso abbiamo vinto il campionato con la Pontremolese il cui obiettivo era salvarsi con tranquillità. Forse però il ricordo più bello in assoluto è Fezzano: sono arrivato a stagione in corso, dopo 10 partite erano penultimi. Abbiamo vinto i play-off e siamo andati in Serie D. L’anno più inaspettato, in cui abbiamo gioito di più.”

Promozione del tutto insperata all’epoca per la Fezzanese.

“Infatti non eravamo pronti per la Serie D. Ricordo che a quei tempi giocavamo su un piccolo campo in terra battuta, ci allenavamo alle 7 di sera, e in metà campo non c’erano le luci… Sono contento che negli anni la Fezzanese si sia attrezzata diversamente e ora abbia i canoni giusti per la Serie D. Ma quell’anno era talmente inaspettato… Considera che abbiamo finito i play off il 17 giugno, e i primi di luglio è iniziata la nuova stagione. Era normale avere delle difficoltà. L’Eccellenza, passami il termine, puoi farla bene “a gestione familiare”. La Serie D no. Bisogna avere strutture societarie che lo permettano. Fino all’ultimo minuto il presidente non so quanto sperasse nella promozione! (ride,ndr) Ma poi l’hanno capito tutti quanto bello sia stare in Serie D.”

Ci sono alcune similitudini con un’altra grande impresa: la cavalcata col Vallesturla che ti ha lanciato.

“Il Vallesturla è stato un periodo della mia vita calcistica importante: all’Entella avevo fatto giocatore-allenatore l’ultimo anno. Da lì sono andato con Vallarino al Vallesturla: dall’Eccellenza, con l’Entella, alla Seconda Categoria con il Vallesturla. Ma con tantissimo entusiasmo perché l’allenatore era quello che volevo fare. Dalla seconda siamo arrivati in Eccellenza nel giro di pochi anni: qui, da neo-promossi, siamo arrivati secondi nonostante ci fossero avversari forti come Imperia, Sestri, Loanesi. Ai play-off battemmo il Borgomanero e il Trento in casa, ma in Trentino vinsero loro. Peccato, c’erano 5/6.00 spettatori, un palcoscenico bellissimo e forse eccessivo per la nostra poca esperienza. Ma ce la siamo giocata e ci siamo veramente divertiti. Andare in Serie D con una squadra che non aveva neanche un campo fisso dove allenarsi sarebbe stato clamoroso. Vallesturla mi ha dato la possibilità di mettere in atto le mie idee e di farmi conoscere come allenatore, oltre che di vincere tanti campionati.”

È un peccato che il Vallesturla di allora non esista più.

“Sì, davvero. Anche se 3/4 giocatori che avevo allora sono tornati a far parte del Vallesturla che oggi è in Seconda Categoria. Vuol dire che non sono l’unico che è rimasto legato a questa società.”

La stagione attuale. Tra voi e l’Imperia sembrava una gara a chi andava più forte.

“Quando l’anno scorso Risaliti mi ha proposto di venire a Sestri, pur essendo confermato a Pontremoli dopo la vittoria del campionato, non ci ho pensato un secondo. Non si può rifiutare una piazza come Sestri Levante, non ne ho trovate da nessuna parte. Stavamo disputando un ottimo campionato, quasi sempre in testa alla classifica, abbiamo vinto la Coppa Italia regionale e gli ottavi della fase nazionale 3-0. Avevamo trovato la quadra, che peccato, eravamo in crescendo e con l’Imperia sarebbe stato un bel testa a testa. Senza sottovalutare l’Albenga, anche se con il ruolino di marcia delle prime due era difficile. Non si vedono spesso così tante squadre forti in testa alla classifica in Eccellenza.”

Un vero peccato lo stop. Più passa il tempo più l’impressione è che non si riesca a finire i campionati…

“Penso che sia molto, molto difficile continuare. Se in Serie A, con tutte le possibilità che hanno, ci sono così tanti problemi, e in Lega Pro vogliono fermarsi, non vedo come possiamo finire noi. L’importante è che si trovino delle soluzioni meritocratiche guardando a quello che è stato fatto nel corso dei campionati. Tra l’altro, molte squadre faranno fatica ad iscriversi l’anno prossimo, il campionato dell’anno prossimo rischia di essere falsato. E l’iscrizione gratuita non è la soluzione: anzi, magari squadre pericolanti riescono ad iscriversi, ma scompaiono a stagione in corso dopo pochi mesi, visto che ci sono costi più gravosi di quello di iscrizione.”

Ci racconti la vittoria della Coppa Italia? Soddisfazione unica per come è andata la partita…

“L’anno scorso, in Toscana, l’avevo persa in finale, quest’anno me la sono ripresa… La finale è stata una di quelle partite che si vorrebbero sempre giocare. Passati in svantaggio e rimasti in 10, a fine primo tempo ho visto i ragazzi cupi. Io mi sono limitato a passare dal 3-5-2 al 4-3-2, chiedendo più corsa agli esterni e di non stravolgere i nostri movimenti. I ragazzi hanno preso campo, hanno giocato, l’Albenga si è spaventata vedendo che andavamo di più in 10 che in 11… E alla fine abbiamo vinto meritatamente. È stata una favola che per l’ambiente Sestri ci voleva. E sono sicuro che saremmo andati avanti anche nella fase nazionale. A Torino, negli ottavi, hanno giocato 7 giovani facendo una partita incredibile.”

Il vostro rapporto con i tifosi.

“C’eravate con l’Imperia, sì? Penso che poche squadre possano permettersi un’affluenza e una coreografia del genere. I ragazzi si sentono responsabilizzati e l’ambiente dà una carica incredibile, i nostri tifosi sono veramente il dodicesimo uomo in campo. In queste categorie questo fa ancora più la differenza di altre.”

Alberto Ruvo giocatore. Tu sei stato testimone dell’inizio della cavalcata Entella.

“Il mio capitolo Entella è stato importantissimo. Infatti le perplessità dei tifosi del Sestri sul mio conto erano proprio che all’epoca, quando giocavo, fossi il terzo giocatore con più presenze nell’Entella. Ne sono stato capitano. Me ne andai praticamente quando arrivò Gozzi, io ero a fine carriera e nell’Entella ci furono tanti cambiamenti. Ma quello che ha fatto Gozzi in questi anni è qualcosa di eccezionale. L’Entella meriterebbe qualche tifoso in più per quello che ha fatto la società.”

Tanto Entella ma anche esperienze fuori regione.

“Sì, sono stato due anni a Ischia in Serie C1. Poi volevo avvicinarmi a casa e scelsi Spezia. Purtroppo l’allenatore Mazzola (ex Inter) portò con sé tanti ragazzi dell’Inter e rimasi fuori. Andai un anno in Interregionale a Santa Margherita. Arrivammo quarti, una becca stagione. Andai a Chiavari con il presidente Chiesa e rimasi lì, tranne un paio d’anni alla Grassorutese.”

Tu hai vissuto il calcio in tre regioni differenti. Il calcio è universale o ogni realtà ha le sue sfaccettature?

“Quest’ultima. Anche se è difficile far paragoni con Ischia: all’epoca in C1 c’erano realtà come Palermo, Catania, Messina, Ternana, dove tra l’altro ho esordito con arbitro Collina davanti a 18.000 spettatori. A Palermo ce n’erano 40.000 anche se era in C1. Era un calcio tosto, oltre all’aspetto agonistico mi riferisco proprio agli ambienti. Andare a giocare a Giarre, a Battipaglia era dura… mi sono temprato. Ricordo una volta a Giarre in cui la polizia smise di scortare il nostro pullman dopo pochi minuti e i tifosi avversari iniziarono a prenderci a sassate, con noi che ci dovemmo stendere nei corridoi con sassi e borse che ci cadevano addosso. La guerra…

Dicevo, la Toscana. Lì ogni paese ha la sua squadra, il calcio di paese è molto più sentito a livello di tifoseria. Ci sono realtà importanti come Viareggio, Massa, Pontremoli… i campi sono tutti in erba vera, quindi il calcio è più agonistico e meno tecnico della Liguria, che ha campi in sintetico. In Toscana vai a giocare contro certe squadre che hanno letteralmente un paese dietro. C’è un seguito importante, a Pontremoli la partita con il Lamporecchio c’erano 1200 persone al campo. E Sestri, Imperia, Albenga si avvicinano un po’ a queste piazze.”

Vai in una squadra nuova e il presidente ti dà carta bianca. Chi prendi per primo?

“A seconda delle categorie. Quest’anno da Pontremoli mi sono portato Capo. Volevo portarmene altri 2 o 3, ma per amore della Pontremolese non l’ho fatto. Se potessi scegliere mi porterei sempre due o tre ragazzi toscani, proprio per l’aspetto caratteriale. A Vallesturla li ho avuti sempre, ho sempre cercato di fare una “macchinata” dalla toscana. Sotto il profilo del temperamento, dell’agonismo e della determinazione hanno quel qualcosina in più.”

Giocatori liguri in toscana invece?

“Ce ne sono pochi effettivamente. Forse perché i toscani prendono la cosa più seriamente. Se c’è da partire, i toscani partono, senza pensarci troppo su. Se tu guardi a quanti giocatori escono dalla Toscana, ce ne sono una marea. Hanno più fame. Tanti giocatori liguri non hanno fatto carriera anche per questo motivo.”

A tal proposito ieri abbiamo intervistato su Instagram Edo Capra, un fenomeno che però non ha mai fatto il grande salto.

“Ma perché ha voluto non farlo lui, non ne ha nemmeno bisogno. Quello che fa ancora oggi in campo è pazzesco, potrebbe fare la Lega Pro a occhi chiusi. Ha doti fisiche incredibili, un peccato a livello calcistico non vederlo più in alto. Per me è una dimostrazione lampante di quanto detto prima.”

Ieri Capra, l’altroieri Balbo, uno dei giocatori più “pazzi” del calcio ligure. Tu hai mai avuto giocatori “alla Balbo”, ingestibili ma capaci di vincere da soli le partite?

“Mah, ingestibili no, quando mi è capitata una situazione simile sono riuscito a portare il giocatore dalla mia parte. A Fezzano mi dicevano che Baudi non ne aveva più voglia, non correva. Ha fatto 25 gol in 26 partite. Bisogna toccare le corde giuste. Ed essere fortunati, perché poi non sempre entri in empatia con tutti i giocatori. Però ti dico anche questo: se è vero che a calcio si gioca in 11, ritengo che ci siano dei casi in cui si può giocare in 10+1, se questo 1 ti fa la differenza. L’esempio perfetto? Cassano!”

Sai di essere uno dei mister più vincenti della Liguria? Bella sensazione.

“Guarda, una delle cose che mi ha fatto più piacere quest’anno è che sono stato scelto per il mio curriculum e per come alleno. Anche perché a Sestri mi hanno sempre visto come il capitano dell’Entella… Un giocatore lo scegli per come gioca, un allenatore per come allena, non solo per quanto vince. Tanti DS e presidenti sottovalutano questo fattore che è importante. Ti faccio un esempio: il Vallesturla della Promozione dovevo solo gestirla, era fortissimo, non vorrei essere ricordato per quella stagione. Vorrei essere ricordato per altre cose, il secondo posto in Eccellenza, sempre con il Vallesturla, oppure Fezzano, Pontremoli… A Pontremoli i mister del settore giovanile venivano in 4/5 a vedere i nostri allenamenti. Hanno attaccamento, passione, voglia di allenare e migliorare. In Liguria succede meno. Io stesso, quando posso, vado a vedere gli allenamenti di tutti. Qui a casa mia c’è il Deiva che fa seconda categoria, io mi fermo a vederli, chissà che impari qualcosa. Il confronto è fondamentale.”

Il Coronavirus ha fermato la rincorsa al nono titolo di Alberto Ruvo (tra campionati e coppe Italia), con il Sestri Levante lanciato in volata testa a testa con l’Imperia. Chissà se i campionati finiranno e se i corsari potranno festeggiare. Nel frattempo per Ruvo, come direbbe Fellini… Otto e mezzo.

Tommaso Imperato

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