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Luca Tabbiani è uno di quei personaggi che qui a Genova non ha bisogno di tante presentazioni. Uno di quei nomi per cui ogni ligure, da amante del calcio e buon campanilista, va molto orgoglioso.

Il suo è il racconto di un ragazzo che, dopo aver assaporato il professionismo d’elite da giovanissimo, se l’è dovuto riconquistare a causa di un infortunio. E ce l’ha fatta, con fatica e dedizione. Poi, l’allenamento, quasi una vocazione, che l’ha chiamato sin dai suoi ultimi anni da calciatore. E così, in Serie D, nel mondo dei nostri dilettanti, ci è andato solo a finire la carriera… e a iniziarne un’altra, quella di allenatore. Carriera che, se volete conoscere nel dettaglio, vi basterà cercare il suo nome su wikipedia. Sì, ha una pagina su wikipedia.

 

10 gennaio 1999, partiamo di qui. Il tuo esordio in Serie B con la maglia del Genoa. Non è una domanda che posso fare spesso quindi… cos’hai provato?

“Quando vivi da giovane una cosa come questa, gli dai meno importanza. Ai tempi quando l’ho fatta, mi sembrava semplicemente un percorso che andava avanti: settore giovanile e poi esordio in prima squadra. Certo, ricordo ancora l’agitazione quando mi chiamò il mister prima di entrare, tra l’altro, in una partita molto tirata (contro la Lucchese)…  Ora, ripensandoci, sarei molto più consapevole di quello che stava succedendo: allora forse non gli davo il giusto valore, non me ne rendevo proprio conto”.

È stato Gigi Cagni a farti esordire.

“Un allenatore vecchio stampo, una figura molto paterna. Gli devo molto: ero il più giovane, e lui mi ha insegnato come si vive, ma soprattutto come si entra all’interno di uno spogliatoio composto da ‘grandi’, soprattutto dal punto di vista umano”.

 

 
Dopo l’esordio, altre presenze in Serie B con la maglia del Genoa… e poi?

E poi mi sono rotto il crociato. Sono dovuto ripartire dalla C2 e farmi il mio percorso calcistico, senza più essere legato al Genoa. Sono partito da Mestre, Trento e poi la Cremonese, sicuramente la tappa fondamentale della mia carriera; mi ha permesso di ritornare in Serie B, insieme a lei. Sono arrivato che eravamo in C2, in tre anni siamo andati in B. Un altra città importantissima per me è stata Trieste: sono stato lì quattro anni e mezzo, lì ho fatto nascere mia figlia, e ho vissuto in un ambiente meraviglioso. Avevo un bellissimo rapporto con la società, si erano instaurati rapporti umani importanti che coltivo ancora adesso: pensa, ci siamo videochiamati giusto ieri. Sì: Cremona e Trieste sono state due luoghi importanti della mia vita, calcistica e non”.

E Bari?

“Il Bari è invece sicuramente la piazza più importante in cui io sia mai stato: lì si riempiva lo stadio, un pubblico importante che tutti conosciamo. Calcisticamente parlando, Bari è sicuramente la piazza più bella e importante“.

E poi?

“E poi c’è stata Pisa, un’altra piazza bellissima. Ma non avevo la testa. Mi sono ritrovato da quello che ormai era il mio ‘habitat’ triestino a un ambiente completamente diverso come poteva essere quello pisano. Il problema ero io. Poi ho terminato a Lecco la mia carriera tra i professionisti: lì è andata un po’ meglio”.

Hai rimpianti?

Ognuno di noi in una carriera, secondo me, arriva dove deve arrivare. Più o meno c’è sempre meritocrazia: la ‘tua’ categoria è quella dove hai fatto il maggior numero di presenze. Poi certo, l’infortunio al crociato mi ha costretto a ripartire da una realtà inferiore, dopo che avevo esordito così giovane con il Genoa in Serie B. Ma ti dirò una cosa: mi è servito. Perché poi in Serie B ci sono tornato con le mie forze dalla C2, e mi ha dato ancora più soddisfazione“. 

Infine, hai chiuso la tua carriera da giocatore in Serie D, con il Sestri Levante.

Sì. Dopo Lecco avevo deciso di non viaggiare più, per dare un po’ di stabilità alla mia famiglia. E ti dico… stavo già pensando ad allenare. Così, in Serie D, ho avuto la possibilità di vivere uno spogliatoio che di fatto non avevo mai vissuto, nei dilettanti. Di capire qualche meccanismo in più, conoscere la realtà di una società dilettantistica, che aveva sicuramente più problematiche di quelle professionistiche a cui ero abituato: meno risorse, meno strutture…

Quindi pensavi già ad allenare nei tuoi ultimi anni da calciatore? Eri per caso uno di quei giocatori che allenava già in campo?

“In realtà bisogna stare attenti, ci sono allenatori che non apprezzano questo tipo di giocatori. Comunque sì, già ci pensavo: a Sestri Levante l’avevo confessato al tecnico Nunzio Lazzaro. Allenare mi ha sempre affascinato: ho sempre avuto voglia di mettermi in discussione in questo ruolo. Mi piace proprio la tipologia di lavoro, il poter portare la propria idea di gioco in campo e prender posizioni e decisioni. Ma soprattutto, mi piace poter insegnare ai ragazzi ciò che posso“.

 

 

Hai iniziato questo tuo nuovo percorso al fianco di Buttu, col Vado, al quale sei subentrato dopo il suo esonero. Poi Lavagnese e Savona. Ricordi e rimpianti?

A Lavagna mi sono trovato bene, e mi ha permesso di lavorare nelle condizioni migliori: abbiamo fatto due anni molto belli, avevamo una squadra competitiva e siamo arrivati quarti. Ma soprattutto, giocavamo un buon calcio. Era la stagione con Currarino, che poi è andato in Serie B con l’Entella…

Consideri Currarino un po’ una tua creatura?

Assolutamente no! È un giocatore strepitoso, si parlava di lui già prima che arrivassi io. La mia fortuna è stata solo quella di beccarlo nell’anno in cui è maturato: quante partite che mi ha risolto! Credo sia il giocatore più forte che abbia mai allenato.

E invece cosa mi dici di Savona?

Avevo fatto una scelta in base all’importanza di una piazza com’è quella di Savona. Può dare una grande visibilità. Ma il mio pensiero di calcio purtroppo era totalmente incompatibile con il tipo di calcio che invece richiedeva la società. Ritengo che il Presidente Cristiano Cavaliere sia una persona buona, ma calcisticamente avevamo proprio idee diverse: era impossibile trovare un punto d’incontro.

 

luca tabbiani

 

Qual’è la tipologia di allenatore a cui ti ispiri, fra quelli che hai avuto, incontrato, o anche fra i professionisti?

Da ogni allenatore che ho avuto mi è rimasto qualcosa. Quando sei giovane pensi solo a giocare, gli allenatori non ci fai neanche caso… poi, con il tempo, riesci a capire invece ogni sfaccettatura di quello che provava a insegnarti, nel bene o nel male. Da allenatore poi, sta a me capire quali aspetti imitare e rendere miei, quali invece evitare.

Un allenatore che ho avuto e che per me è di grande ispirazione è Rolando Maran: con lui ho ancora un ottimo rapporto, ci sentiamo spesso. Lui è molto bravo nella gestione del gruppo, nei rapporti con la società e nel lavoro con i suoi collaboratori e membri dello staff. Un altro allenatore che mi ha lasciato qualcosa di importante è Giacomo Modica, l’attuale tecnico della Vibonese. L’ho avuto come mister a Lecco: lui è quel tipo di allenatore “stile Zeman”. Ho imparato la cultura del lavoro molto tardi, e l ho fatto grazie a lui. E come correvo quel periodo!

Tra i professionisti, mi piacciono molto Sarri e Klopp: cerco di prendere spunto dall’analisi delle loro partite. Ovviamente col Fiorenzuola non posso fare le cose che fanno Liverpool e Juventus 😂 ma cerco di capire le loro idee di gioco, renderle mie e applicabili alla mia squadra”.

Invece, se ti chiedessi il profilo del giocatore ideale, quello che proprio non deve mancare nella tua squadra?

“Bella domanda, perché ultimamente me la sto facendo spesso anche io. Sto imparando: più alleno, più mi sembra di capire quali siano i ruoli fondamentali per il mio gioco. Ma è difficile rispondere, il play per esempio non deve avere caratteristiche precise ma è fondamentale: un anno ho avuto Fonjock fisicamente importante, ora ho un play meno possente fisicamente ma con altre caratteristiche altrettanto importanti. Ecco, sicuramente per il mio gioco l’attaccante e il playmaker sono fondamentali. Poi però penso a Currarino… anche la mezz’ala che s’inserisce è devastante“.

C’è stata una brevissima parentesi Genova Calcio: non ti chiedo perché alla fine tu non sia rimasto, ti chiedo però cosa ti aveva portato a scendere di categoria.

“A me piace stare sul campo: faccio solo quello, non riesco a farne a meno. E amo allenare. in Serie D le squadre erano già tutte sistemate. Con la Genova Calcio, in particolare nella figura del mio amico Enrico Ascheri, avevo già iniziato a parlare da un po’: hanno un bel settore giovanile, e si poteva pensare di un progetto a lungo termine. Mai più pensavo potesse arrivare una chiamata da fuori come quella del Fiorenzuola. Enrico e tutta la Genova Calcio sono stati fantastici: hanno capito e non hanno voluto in alcun modo mettermi i bastoni tra le ruote. Anche perché francamente, non accettare una chiamata del genere, mi avrebbe messo davvero in difficoltà”.

 

 

Capitolo FIORENZUOLA… come ti trovi lì? Stavate disputando davvero un ottimo campionato…

Il Fiorenzuola non sapeva avessi firmato con la Genova Calcio, per questo mi avevano chiamato. Da allenatore credo sia la mia miglior stagione: mi trovo in una società organizzatissima e di persone a modo, ho a disposizione una squadra giovane e degli impianti sportivi di valore. Ci sono tutti i presupposti per fare bene e per sognare il professionismo. Rispetto alla Liguria, in questo senso, è un altro mondo. Sì, una buona stagione, siamo stati anche vicini al Mantova in qualche momento, poi c’è stato un calo come spesso succede. Poi lo stop…

Eh si, uno stop forzato. A tal proposito, che idea ti sei fatto?

Chi prenderà decisioni, sarà sicuramente in difficoltà. Soprattutto tra i professionisti, ci sono dei termini e dei contratti che saranno difficili da dover modificare. Dall’Eccellenza in giù secondo me sarà difficile continuare: tanti lavorano, e a maggior ragione dopo un momento del genere sarà difficile che possano chiedere ferie per giocare un infrasettimanale. La Serie D invece è quel campionato di mezzo, in cui alcuni sono quasi professionisti, altri invece come i dilettanti hanno anche un altro lavoro per sopravvivere. 

E non bisogna poi dimenticare che siamo fermi praticamente da un mese e mezzo: oltre al rischio di falsare i campionati, che a mio avviso è il problema minore, il pericolo è quello di tornare in campo e farsi male. In conclusione: credo che far finire i campionati sia la soluzione più sensata. 

E il Fantacalcio invece? Mi hanno suggerito questa domanda…

Quest’anno me la menano perché stavo facendo male. Ma ho fatto l’asta su Skype, ero distratto: non che sia un alibi per la squadraccia che ho messo su… però a chi ti ha suggerisce questa domanda chiedigli come mai dell’anno scorso non parla 😂

Un ultima domanda Luca: cos’è per te il calcio?

Mia moglie e il calcio sono la mia ragione di vita. Non sono mai stato fermo (fatta esclusione per il periodo successivo all’esonero da Savona), non ho mai saltato un precampionato. Mi alzo la mattina, e il mio primo pensiero è come organizzare la settimana, come preparare la partita, trovare soluzioni… 

 

luca tabbiani

 

QUESTA ERA “L’UOMO DEL GIORNO“, UNA DELLE NUOVE RUBRICHE DI DILETTANTISSIMO! Oggi l’intervista a Luca Tabbiani.
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