Certo che di belle storie dal calcio ligure ne sono passate, e quella di Giuseppe Stancampiano è forse una delle più belle, perché, più che di una storia, si tratta di una bellissima favola. Una favola che parla di un ragazzo del Sud che lascia la sua Sicilia con una valigia piena di sogni, e che in Sicilia ci torna, dopo diciassette anni di gavetta in giro per l’Italia (e non solo!), da professionista del calcio. Giuseppe oggi è infatti un giocatore del Trapani, e continua a fare quello che più ama: giocare a calcio, in Serie B e per di più nella sua terra. Ma ogni favola che si rispetti, ha una morale: Stancampiano esordisce in cadetteria a 33 anni. Ci ha colpito in particolare una sua frase durante questa piacevole chiaccherata: «Oggi, a 33 anni, sogno ancora come un bambino, ed è proprio questo che mi da ogni giorno la forza di continuare… e sognerò sempre, sino all’ultima parata della mia carriera». Quante volte ci siamo rassegnati a un destino che ci viene imposto? Quanto spesso si smette di sognare una volta raggiunta quella soglia d’età che chiamiamo “maturità”? Questa storia ci può aiutare a ricordare che non esiste un “età giusta” per realizzare i nostri sogni, e non esiste nemmeno un limite entro cui diventa impossibile: dobbiamo semplicemente continuare a sognare, “sino all’ultima parata”.
Siamo in un periodo non facile per l’Italia e per il nostro calcio… tu come stai?
«Fortunatamente, io mi trovo in Sicilia e qui non si è sentita come al nord questa orribile pandemia. La situazione qui è sempre rimasta piuttosto tranquilla e sotto controllo. Stiamo seguendo tutti le regole e le restrizioni imposte dal governo, nella speranza che tutto questo possa finire al più presto. Non è stato facile perché ci siamo dovuti confrontare con una cosa più grande di noi. In questo periodo mi sono allenato da casa, ho un po’ di spazio a disposizione per farlo e sto seguendo i programmi personalizzati che ci ha fornito la società. Lunedì riprenderemo, a scaglioni, gli allenamenti: in attesa di capire cosa succederà. Siamo in quel limbo in cui non sappiamo cosa ne sarà di questa stagione»
Hai viaggiato moltissimo per il calcio nella tua gioventù, oggi sei tornato nella tua Sicilia, al Trapani. Come ti trovi?
«Eh sì. Io sono nato qui, e ho mosso i primi passi nel mondo del calcio nella mia terra, la Sicilia. Ho fatto tutta la trafila nel settore giovanile del Palermo sino alla Primavera, poi è iniziato il mio girovagare per l’Italia. A Trapani vivo benissimo, mi trovo in una cittadina piccola di fronte al mare… voi mi potete capire, per chi nasce con questa fortuna, potersi svegliare e andare a farsi una passeggiata davanti al mare, è meraviglioso. Il mare è un regalo grandissimo, ti riempie d’amore. Ambientarmi qui è stato facile anche dal punto di vista calcistico: sono rimasto piacevolmente sorpreso perché più sono salito di categoria, e più ho trovato umiltà e predisposizione ad aiutarsi e a stringere rapporti. Non me lo aspettavo! In queste categorie incontri gente importante, ma con grande umiltà e professionalità: qui al Trapani ho incontrato persone con cui sono riuscito a legare tantissimo».
Ma partiamo dall’inizio. Quando intervistiamo i portieri, una delle prime curiosità è sempre questa: sei nato portiere? Era il ruolo che volevi avere nel calcio sin da piccolo? Spesso ci hanno risposto che, in qualche modo, “ci son finiti” per caso…
«E infatti, ci son finito per caso anche io! Quando ero piccolo e giocavo nella squadra del mio quartiere, sino agli esordienti ho giocato come terzino destro. Ogni tanto, per gioco, magari ci stavo anche in porta, e come ruolo mi aveva sempre affasciato… ma essendo un po’ statico, preferivo partecipare di più al gioco di squadra. Un giorno però, durante una partita, i due portierini della mia squadra mancavano, e così in porta ci misero me. Feci una gran partita e… da lì non mi hanno più tolto!»
A un certo punto, la tua Sicilia la devi lasciare per inseguire il tuo sogno.
«Nel mondo del calcio dei “grandi” ho iniziato quando avevo 17 anni circa. Andai a giocare nel Ferentino, in Serie D laziale. Ai tempi, non ero neppure un fuori quota: lo erano gli ’86, ho iniziato un anno prima, diciamo. Ai tempi era un campionato con realtà davvero importanti per un ragazzetto come potevo essere io… ma riuscii a far bene, giocai tutte le partite e da lì poi andai a Frosinone».
E così hai dovuto lasciare casa da giovanissimo.
«L’impatto è stato forte. Sapete, ero abituato ad avere a casa mia mamma che lavava i panni… e tutto d’un tratto, mi sono ritrovato a dovermela sbrigare da solo. Ho iniziato a guadagnare i miei primi soldi e diventare autonomo. Diciamo che sono dovuto diventare adulto all’improvviso, e non è stato semplice: la mattina andavo a scuola, poi allenamento, e tutte le altre cose che avevo da fare. Ho imparato a fare sacrifici, e l’ho fatto volentieri perché così facendo potevo fare quello che amavo di più, giocare a calcio. È stato molto formativo per la mia crescita. All’inizio, lo ammetto, è stata dura: ogni tanto ho pensato anche di tornare a casa, specialmente il primo anno fuori. Poi però, l’amore per il calcio è sempre stato fortissimo in me, mi ha sempre guidato e mi ha fatto superare qualsiasi difficoltà! Poi, arrivando anche le soddisfazioni, diventava più facile. Ma se ami questo mestiere, è più forte di tutto il resto».
I tuoi viaggi in giro per l’Italia, e non solo: hai fatto anche un’esperienza all’estero.
«A un certo punto della mia carriera, sono arrivato a Latina in Serie D, dove riuscimmo a vincere il campionato. Conobbi Alessandro Gaucci, che mi portò in Spagna al Cadice, squadra che giocava in terza divisione spagnola (che corrisponde alla nostra Serie C). È stata una bella esperienza, perché ho avuto modo di conoscere una nuova cultura, una nuova lingua… è stato formativo sotto ogni punto di vista, perché anche a livello calcistico ho dovuto apprendere un metodo per me nuovo: in Spagna infatti già allora il portiere, a differenza che in Italia, partecipava molto di più al gioco della squadra. Così li ho imparato a utilizzare molto i piedi per necessità, ma sono contentissimo perché poi mi è servito nel prosieguo della mia carriera: oggi il portiere, in senso moderno, gioca così».
E poi, una parte piuttosto importante della tua carriera l’hai fatta qui da noi, in Liguria! E anche parecchio vincente…
«Sì: prima di Latina e Cadice, ero già stato in Liguria con la Caperanese di Risaliti, con la quale vincemmo il campionato. Poi, dopo la Spagna, sono nuovamente ritornato dal presidente Risaliti a Chiavari, che ho seguito anche nella stagione successiva quando è diventato presidente del Sestri Levante. A Sestri, una cavalcata pazzesca! La vittoria dei playoff nazionali, con compagni come Longobardi, Boisfer, Firenze… e naturalmente, mister Baldini che ho seguito anche in futuro. Quella è stata una delle esperienze più belle ed emozionanti della mia carriera: ricordo che eravamo partiti per disputare un campionato normale, e poi ci siamo ritrovare a battere squadre e piazze blasonate come Taranto e Monopoli. È stata un’emozione grandissima, il tifo a Sestri non è mai mancato ma quell’anno eravamo riusciti ad accendere una passione incredibile. L’amore di un’intera cittadina che ci seguiva, soprattutto negli ultimi tre mesi che sono davvero stati fantastici! I Corsari rimarranno sempre dentro di me».
Sei ancora in contatto con le persone che hai conosciuto qui in Liguria?
«Abbiamo un gruppo su whatssapp che si chiama “Noi siamo Corsari”: ci sentiamo spesso, a ogni ricorrenza o festività. Ho conosciuto persone con cui sono rimasto legato: Bettati, Pane… con Firenze ci siamo anche incrociati sui campi. Ed è bellissimo ritrovarsi e ricordarsi di questi momenti. Anche con il presidente Risaliti ci siamo sentiti giusto qualche giorno fa. Quando ci sono i sacrifici e il rispetto per la realtà in cui si vive, i risultati arrivano su tutti i fronti: questo lo considero un grande aspetto della mia carriera, perché ho sempre avuto la fortuna di avere un buon rapporto con i compagni e le dirigenze con cui ho lavorato. Io e la mia famiglia siamo ancora legatissimi alla Liguria: ho vissuto lì quattro anni, e mio figlio è nato e ha vissuto i primi anni della sua vita lì».
E poi naturalmente mister Baldini.
«Baldini è una persona con la quale ho legato tantissimo, grazie a lui ho avuto quella svolta, sia a livello calcistico che umano. L’ho conosciuto proprio a Sestri, peccato, forse un po’ troppo tardi nella mia carriera, avevo 27 anni. Mi ha fatto capire cosa vuol dire davvero vivere per il calcio, trasmettendomi quell’amore e quella professionalità che lui stesso aveva ai tempi, e che ha ancora adesso. L’ho seguito sia a Imola che a Trapani: con lui c’è molto rispetto e stima reciproca»
Nel corso della tua carriera hai fatto le cose gradualmente: dalla D alla C, e poi dalla C alla B. Quali differenze hai riscontrato in questo percorso?
«In realtà se devo essere sincero, nel salto dalla D alla C non ho riscontrato moltissime differenze: certo, il livello tecnico forse era un po’ più alto… sarà forse che la mia esperienza in D ha fatto sì che mi trovassi sempre in squadre che lottavano per vincere il campionato, e le prime tre o quattro di Serie D non sono poi così inferiori tecnicamente rispetto quelle di Serie C. Il salto importante invece è stato quello dalla C alla D: qui comincio ad assaporare un calcio importante, a livello tecnico e strutturale. Incontri gente importante».
La tua parata più bella e/o importante?
«Ricordo con tanta emozione la parata che feci con il Taranto in semifinale di playoff:con la maglia del Sestri: eravamo sull’1-1, e a tu per tu con l’avversario d’istinto ho fatto questa parata di piede che ci tenne in vita… e poi sappiamo come è andata a finire, con una rimonta fantastica grazie ai gol di Pescatore, Longobardi e Firenze. Poi, ricordo con piacere anche una partita con il Cuneo, in Lega Pro, in uno stadio come il Garilli di Piacenza: feci parate molto importanti sullo 0-1 in nostro favore… e fu se non sbaglio la prima vittoria con il Cuneo fra i professionisti: sono felice di aver essere riuscito a dare una mano importante alla squadra».
E invece, giocatori che tecnicamente ti hanno impressionato durante la tua carriera?
«Tra i dilettanti, sicuramente Carlos Franca e Cristian Longobardi, con cui ho avuto la fortuna di giocare insieme e apprezzarli da vicino. Hanno determinazione e qualità tecniche da veri bomber. Franca poi, me lo sono ritrovato contro in diverse occasioni, ed è stato un avversario scomodissimo. Mi ha fatto anche gol… e ci ho rosicato abbastanza! Lo stimo molto».
Tu e Carlos Franca forse avete una cosa in comune: che non c’è età per inseguire i propri sogni. In questo senso, potete essere un bellissimo esempio per le nuove generazioni.
«Io e Carlos siamo arrivati a Chiavari non giovanissimi: lui se non sbaglio aveva circa una trentina d’anni. Sono felice che stia riuscendo a fare bene. E per quanto riguarda me… ho esordito per la prima volta a 33 anni in Serie B. Dopo 17 anni lontano in giro per l’Italia, torno a casa da professionista: per me, che sono siciliano, ha avuto un sapore ancora più particolare. In questi anni ho compreso l’importanza di avere la passione, l’amore di dedicarsi esclusivamente alla propria professione. Perché il calcio può diventare un lavoro, se non ci si fa distrarre dalle superficialità. Al giorno d’oggi, sembra quasi che riuscire a sfondare nel mondo del calcio corrisponda a guadagnare soldi e lussi… ma non è così. Il calcio merita il massimo della professionalità, e ci sono valori più importanti di una bella macchina».
Hai qualche rimpianto nella tua carriera?
«Sono un tipo di persona che cerca di non guardarsi troppo indietro. Forse all’inizio qualche errore l’ho commesso, essendo un po’ esuberante. Chissà, forse sarei potuto arrivare prima al professionismo. Però, rimpianti non ne ho: gli errori commessi mi hanno fatto diventare quello che sono oggi, mi hanno aiutato a crescere».
Hai ancora qualche sfizio da toglierti in questa carriera?
«Il sogno di ogni bambino che inizia a muovere i suoi primi passi su un campo da calcio, è quello di arrivare un giorno in Serie A. Lo so che ormai l’età avanza, ed è sempre più difficile. Ma il messaggio che voglio trasmettere, è che a ogni età il sogno dev’essere sempre lo stesso: rincorrere l’obiettivo più grande. Oggi, a 33 anni, sogno ancora come un bambino, ed è proprio questo che mi da ogni giorno la forza di continuare… e sognerò sempre, sino all’ultima parata della mia carriera».
Noi ti ringraziamo Giuseppe, è stato davvero un piacere!
«Abbraccio forte tutta la Liguria, e spero che si possa tornare presto alla normalità!»
…e ti auguriamo di realizzare tutti i tuoi sogni!
Giuseppe Stancampiano in… “Uno… in più”, rubrica di Dilettantissimo dedicata ai portieri.
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